Se la Polonia prova a voltare pagina

Bisogna stare attenti anche a scambiare Tusk per un progressista: non lo è per nulla. E guai a pensare che siamo tornati ai tempi di Solidarność e delle speranze che, nel bene e nel male, seppe accendere nella popolazione. Il pensiero progressista è ben lontano dal tornare al potere in Polonia. Diciamo che l’alta partecipazione democratica, oltre il 72 per cento, un dato confortante, specie se comparato alla diserzione cui assistiamo ormai in Italia, e la voglia di cambiamento e di riscatto delle nuove generazioni hanno fatto la differenza, regalandoci una prospettiva meno sconfortante e la possibilità di credere ancora in un sistema fragile e appannato, sempre più ostaggio di spinte distruttive e in preda a una disillusione collettiva che, non di rado, si trasforma in sconforto e desiderio di minare alle fondamenta la nostra casa comune. 

I ragazzi di Torino e lo spirito del tempo

Ci si interroga su quali possano essere le conseguenze di questa repressione. Una nuova Diaz la escluderei a priori, per il semplice motivo che oggi esistono, per fortuna, tecnologie in grado di scongiurare una simile mattanza: in men che non si dica emergerebbero, infatti, filmati e prove che purtroppo mancarono ai PM che si occuparono di quel processo, rendendo assai difficoltoso l’accertamento della verità.

La lezione dimenticata di Calamandrei

Ricordiamo con nostalgia i tempi in cui valorizzare l’anti-fascismo e farne la bussola della nostra comunità era normale, quasi scontato. E ricordiamo anche la passione e l’entusiasmo di ragazze e ragazzi nel confrontarsi con i pochi partigiani rimasti, gli storici e i giuristi, in modo da tener viva non solo la memoria della Costituzione, innaffiandone le radici, ma più che mai i principî ispiratori. 

Mahsa Amini e noi: una battaglia con e per le donne

Mahsa Amini, con il suo sacrificio estremo, con la sua bellezza sfregiata, con la sua meraviglia interiore e con i suoi sogni calpestati, ha risvegliato in noi un senso di lotta. Dopo tanti anni, abbiamo visto nuovamente le piazze riempirsi in nome di ideali nobili, combattere contro una forma di oppressione che non ci riguarda direttamente ma ci interessa eccome. Per la prima volta, ed è questa la novità più rilevante, ci siamo resi conto che anche la nostra libertà è in pericolo. Noi occidentali che ci siamo crogiolati nell’idea folle della “fine della storia”, noi che ci siamo illusi di aver vinto la Guerra fredda e abbiamo imposto con protervia un modello di sviluppo sbagliato al resto del mondo, noi ex dominatori, forti delle nostre certezze di cartapesta, improvvisamente ci siamo riscoperti fragili. Se la vicenda di Mahsa ha avuto un merito, fra i tanti, è stato, dunque, quello di averci fatto sentire nuovamente una comunità solidale in cammino, di aver riportato in auge l’internazionalismo che un tempo caratterizzava il pensiero progressista, di aver indotto le nostre ragazze a provare empatia nei confronti delle coetanee di un Paese neanche troppo lontano, di averci ricordato la fortuna che abbiamo di vivere in un contesto sì pieno di difetti ma comunque ancora democratico e di aver infranto la coltre di silenzio che sembrava essere calata su ciò che avveniva fuori dal nostro cortile di casa. 

Lampedusa dieci anni dopo

Una sinistra degna di questo nome, in una fase storica tanto delicata, non può tirarsi indietro. Al cospetto di un’emergenza umanitaria di queste dimensioni, che temiamo venga fronteggiata dal governo nel modo che gli è più congeniale, abbiamo il dovere di fare dell’umanità la nostra bandiera, dell’accoglienza la nostra ragione di esistere, dell’integrazione il nostro progetto politico e del rifiuto di ogni barbarie il nostro spirito guida. Sarebbe, altrimenti, quanto mai ipocrita andare a rendere omaggio alle vittime di dieci anni fa: lacrime di coccodrillo che abbiamo già visto in passato e che riteniamo sinceramente offensive.