Non pensavo che si risolvesse tutto a stretto giro, ma era dal 20 ottobre 2016 che attendevo la data odierna, giovedì 8 giugno, riponendo fiducia e speranza nella giustizia, quella che mi aspetto che subentri a pareggiare i conti tra me e i miei aggressori, da quando sono stata vittima di quelle efferate azioni violente che mi hanno costretta a vivere attimi di puro ed imprevedibile terrore. Un attesa lunga 8 mesi, elusa da uno sciopero che ha imposto un rinvio di altri 10 mesi.
Si ritornerà in aula il 12 aprile 2018: questo è quanto, fin qui, è accaduto in tribunale. Rinvii ed attese che, in termini pratici, allungano i tempi e amplificano le difficoltà con le quali quotidianamente sono costretta a misurarmi.
Pochi giorni dopo l’ultima aggressione, il 21 dicembre del 2015, sono stata costretta ad allontanarmi da Napoli, perché vivo a pochi metri di distanza dal luogo in cui si è consumata quella violenza.
Mentirei se dicessi che, oggi, mi sento al sicuro. Mentirei se raccontassi che me ne vado in giro a cuor leggero. Non mi viene reso possibile, perché i miei aggressori sono ancora lì e nessuno è in grado di prevedere quello che può accadere, se dovessero incontrarmi per strada. Questa attesa, per il momento, sta condannando me a vivere guardandomi costantemente le spalle e senza abbassare mai la guardia. Un peso grande, troppo grande e carico di tensione e responsabilità, per una ragazza di 33 anni che vuole “solo” fare la giornalista e vuole farlo a Ponticelli, nel suo quartiere, perché sente che quello è il suo posto e non è lei a dover cedere il passo a chi delinque, picchia, violenta, minaccia. Sono loro quelli “fuori posto”, ma, intanto, per altri 10 mesi, loro, dormiranno sonni tranquilli e condurranno, indisturbati, le loro vite, mentre io mi vedrò ancora costretta a guardarmi le spalle e a non abbassare la guardia.
Ponticelli è il quartiere geograficamente più esteso e densamente più popolato della città di Napoli, ma non mi sono mai sentita tanto sola ed isolata come la mattina in cui sono stata aggredita tra centinaia di passanti e commercianti, in pieno giorno, nel bel mezzo di una delle strade più trafficate del quartiere.
Oggi, so di non essere sola. Accanto a me, in aula, c’era il presidente della FNSI, Beppe Giulietti, che stamattina è giunto da Roma pensando di assistere a un processo, Claudio Silvestri e Laura Viggiano del Sindacato Unitario dei Giornalisti della Campania, costituitosi parte civile nel corso dell’udienza precedente, i colleghi della Rai che erano presenti con una postazione all’esterno del tribunale. E, soprattutto, la gente comune.
Non è scontato che accada, meno che mai in una terra in balia della malavita, eppure, nel mio caso, sta accadendo: una settimana fa, il presidente della nuova associazione dei commercianti di Ponticelli mi ha riferito che intendono organizzare un evento che durerà tre giorni, nella villa comunale che si trova di fronte al Parco Merola, il luogo in cui sono stata aggredita e, soprattutto, vogliono istituire un premio da conferire a tutte le personalità del quartiere che si sono contraddistinte per particolari meriti. All’unanimità, hanno scelto di premiare anche me, per inviare un segnale inequivocabile: loro sono dalla mia parte.
“Non sappiamo come sono andate le cose nel parco Merola e non eravamo presenti alle aggressioni, ma sappiamo chi sei e cosa fai per il quartiere, nella vita di sempre, nonostante le tante limitazioni e i pericoli ai quali sei esposta. Il tuo lavoro per noi è importante e vogliamo ringraziarti e dimostrarti concretamente la nostra stima, il nostro supporto e la nostra vicinanza”: questa la sintesi del pensiero della parte sana di Ponticelli.
Grazie a loro, la conquista più importante l’ho fatta già mia. Purtroppo, per vincere la battaglia più importante, dovrò attendere ancora.