di Luigi Sandri (redazione di Confronti)
Gli incontri di Trump in Medio Oriente e in Europa, compreso il vertice del G7 di Taormina, hanno evidenziato le aspre divergenze con gli altri “grandi” occidentali. ma, intanto, rimangono inevasi i maggiori problemi del pianeta.
Nel pianeta – iniziando dal tormentato Medio Oriente – la pace è più vicina, o più lontana, dopo la cruciale settimana 20-27 maggio, che ha visto il presidente statunitense Donald Trump, nel suo primo viaggio all’estero, visitare Arabia Saudita, Israele e Territori Palestinesi, e poi incontrare a Roma papa Francesco e le autorità italiane, e quindi la sede della Nato a Bruxelles, e infine partecipare a Taormina al vertice dei G7 – i sette Grandi del mondo (ma solo quello occidentale, perché mancava la Russia, l’India e la Cina)? La domanda è inevitabile.
A Riyad il capo della Casa Bianca ha firmato con la monarchia regnante un contratto per venderle armamenti del valore di centodieci miliardi (miliardi!) di dollari; è stato creato il Terrorist Financing Targeting Center, un organismo per potenziare il contrasto al terrorismo: insieme a Usa e Arabia Saudita, il Tftc sarà composto da Kuwait, Qatar, Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti. E dov’è, oggi, nel mondo, il focolare del terrorismo? In Iran, hanno risposto in coro il presidente, il re saudita Salman, e i governanti dei Paesi del Golfo. Perciò, invece di tentare di favorire un’incipiente intesa tra il mondo musulmano sunnita guidato da Riyad e quello sciita capeggiato dall’Iran, “The Donald” ha deciso che il primo nemico non è l’Isis/Daesh del cosiddetto Califfato, ma l’Iran. Dunque il colossale riarmo saudita servirà soprattutto a minacciare questo paese.
Ora, anche il regime teocratico di Teheran ha le sue responsabilità per il caos mediorientale; ma è davvero stridente che a giudicare si erga proprio Salman, sovrano assoluto di un paese dove non esiste uno straccio di democrazia, e ove cresce un islam, quello wahabita – esportato in molti paesi – chiuso e oltranzista. E, invece, nei giorni in cui Trump era in Arabia Saudita il popolo iraniano ha rieletto presidente Hassan Ruhani che, pur tra contraddizioni, ha aperto strade nuove tra le maglie strette degli ayatollah.
In Israele Trump ha riaffermato la saldissima alleanza con questo paese e con il governo di Benjamin Netanyahu; ma – per ora dimenticando le promesse fatte in campagna elettorale – non ha annunciato lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme: un ripensamento dovuto, finalmente, alla consapevolezza che i palestinesi hanno dei diritti sulla parte Est della città, o invece perché “costretto” dai sauditi, che non potrebbero – dato il loro ruolo – lasciare interamente in mani ebraiche la terza Città santa dell’islam?
D’altronde, sui problemi nodali The Donald è stato vaghissimo: non ha adombrato la Two-State solution (pure invocata da quindicimila persone scese in piazza a Tel Aviv, il 27 maggio), né ha proposto ipotesi alternative; a Betlemme ha chiesto al presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) di stroncare le violenze dei palestinesi contro Israele, ma non ha criticato i crescenti insediamenti israeliani nei Territori, occupati dal giugno 1967, cioè da cinquant’anni, in seguito alla Guerra dei sei giorni; e, malgrado la sollecitazione di Abbas, ha ignorato il massiccio sciopero della fame, in atto dal 17 aprile (e che sarebbe cessato, ottenendo qualche risultato, il 27 maggio), di un migliaio di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, primo fra tutti Marwan Barghouti.
Anche con il papa Trump ha “duellato”, respingendo le tesi del pontefice sul “come” affrontare i problemi ecologici del pianeta.
E a Taormina? Conclusioni in chiaroscuro: vi è stato accordo sulla lotta al terrorismo (ma accorrerà vedere in concreto!); un barlume di accordo, forse, è stato trovato con i paesi sub-sahariani per controllare le migrazioni; sul problema dei migranti è stato varato un fragile compromesso, non all’altezza di una soluzione politica adeguata e compartecipata; infine, dato il contrasto tra The Donald e i rappresentanti degli altri sei “G” (Angela Merkel ha definito Trump “inaffidabile”), per l’attuazione degli accordi di Parigi sul clima, è naufragata l’intesa sperata. Da parte sua, il premier Paolo Gentiloni ha commentato: a Taormina si è ottenuto il massimo possibile, dato il difficile contesto. Forse è vero; il problema è se questo “massimo”, assai “minimo”, sia una risposta adeguata al groviglio di problemi incombenti sul mondo.