“Quanti anni hai Rasheeda?” “Non lo so” mi risponde mentre si abbassa per prendere in braccio il suo bambino. Per parlare abbiamo bisogno di un paio di interpreti, quello che dall’inglese traduce in lingua Twi, una delle lingue più diffuse in Ghana, e poi dal Twi ad una delle tante lingue che si parlano nel Nord del Paese. È da lì che Rasheeda proviene, come buona parte di quelli – uomini, donne e bambini – che condividono il suo destino ad Agbogbloshie, la grande discarica di rifiuti elettronici di Accra – a due passi da strade trafficate e mercati affollati.
A Rasheeda, che è poco più di un’adolescente e ha già un bambino di un paio d’anni che ha imparato a camminare su cumuli di rifiuti di ogni sorta, chiedo: “Qual è la cosa più preziosa che possiedi?” “La mia casa e il mio bambino” dice. La sua casa sono quattro lamiere messe in croce e scheletri di frigorifero. Una baracca, inutile dirlo, senza luce né acqua, che praticamente consiste in un buco dove trova riparo la notte. Alla stessa maniera sono costruite le baracche degli altri abitanti di questo inferno… Continua su vociglobali