Aveva 18 anni il giorno in cui ha assistito alla morte di un amico, vittima di un tentativo di furto. “Io sono rimasta per tanto tempo a chiedermi perché, e quando ho iniziato a scrivere per trovare una risposta mi sono trovata a fare questo lavoro”. A Ponticelli è nata e cresciuta, a Ponticelli è nata la sua professione: quella sfociata in Napolitan, giornale on-line che denuncia il degrado dei quartieri più problematici di Napoli. Luciana Esposito ha coinvolto nel suo progetto anche dei ragazzi residenti a Ponticelli, per sottrarli al controllo della camorra, insegnando loro a combattere l’omertà con una sola arma: la penna.
Nel suo intervento al Forum delle Giornaliste del Mediterraneo Luciana Esposito testimonia quanto sia difficile essere giornalista d’inchiesta in determinati contesti, e quanto sia facile essere emarginata, anche dai colleghi. A farle da spalla al Forum c’è Emanuela Bonchino, anche lei giornalista, che per Rai News 24 ha realizzato un servizio dal titolo eloquente, “Luciana non si arrende”, dedicato alle ripetute aggressioni subite da Esposito a causa del proprio lavoro. “Emanuela – spiega Esposito – è stata l’unica che si è presa la responsabilità di tornare in quel posto… In tanti la mia storia l’hanno raccontata, però questa responsabilità nessuno se l’è presa (…). È stato molto importante: raccontare quello che avviene nei luoghi, permettendo anche alle persone di conoscere e vedere quei luoghi è sicuramente il modo più bello e più forte di testimoniare la verità”.
Una delle verità raccontate da Luciana Esposito, con la collaborazione degli abitanti della zona, è quella legata a Parco Merola, nel quartiere Ponticelli: uno spazio fatiscente, dimenticato dagli amministratori. Uno spazio intoccabile, però, un territorio legato alla camorra: ad aggredire la giornalista è proprio un uomo legato alla criminalità organizzata, con alle spalle dieci anni di reclusione per associazione a delinquere. Lui e la sua famiglia hanno più volte aggredito fisicamente la giornalista, hanno persino tentato di rapirla; hanno colpito lei, e hanno lanciato un monito silenzioso al quartiere: un memento su chi comanda realmente nella zona.
Altre minacce sono state recapitate alla giornalista dalla madre di Raffaele Cepparulo, il Boss dei Barbudos morto in un agguato nel rione Sanità: secondo la donna, Luciana Esposito sarebbe colpevole dell’omicidio “perché lei ha detto che mio figlio era un camorrista perché portava i tatuaggi”, come riporta la stessa giornalista. Le intimidazioni da parte dell’intera famiglia si sono susseguite, fino a rendere non solo il rione Sanità, ma l’intero centro storico della città una “terra rossa” per la cronista.
Eppure Luciana Esposito non si arrende, nonostante il supporto di colleghe come Emanuela Bonchino sia solo un’eccezione: “La bordata più grande a favore dei miei aggressori – denuncia – in prima battuta è arrivata proprio dalla stampa napoletana”. La lotta alla ricerca di un “perché” nei quartieri napoletani continua, unendosi alla lotta di chi, ovunque, si batte a suon di denunce.
L’appoggio della giornalista napoletana al lavoro della collega Marilù Mastrogiovanni giunge con un appello forte alla platea, agli adulti ma anche ai molti studenti universitari presenti al Forum: “Tante volte ci sentiamo chiedere «Che cosa possiamo fare per voi, come possiamo aiutarvi?» Semplicemente condividendo il nostro lavoro, facendo vincere la forza della penna per far prevalere la legalità”.