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Cannes fischia il marchio Netflix ma applaude il suo “OKJA”, il nuovo “King Kong” anticapitalista e animalista

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Fischi a raffica sul marchio Netflix ( tanto per dire come si schiera la stampa nella querelle sugli strapoteri delle piattaforme digitali ), applausi scroscianti alla fine : così è andata alla prima proiezione di “Okja”, primo dei due film targati Netflix in lizza per la Palma d’Oro. Un successone a dispetto di una disastrata partenza, con sala rumoreggiante perché il proiezionista aveva toppato il formato, tagliando le teste agli attori per conseguenza. Disguidi tecnici, il mito “perfettino” di Cannes, ahimè,  perde colpi.

Scritto e diretto dal coreano-prodigio Bong Joon Ho ( guai se vi siete persi il suo post-apocalittico “Snowpiercer”! ), “Okja”è un blockbuster smaccatamente costoso ma anche ferocemente animalista e anticapitalista. Diciamo un “King Kong”dell’era delle multinazionali e degli OGM. Scatenato, molto intelligente, molto spiritoso e decisamente “politically correct”. Con un “happy ending”che rompe con i consolatori finali disneyani. Esci dal film giurando che diserterai per sempre braciole di maiale e wurstel.

E’ un dettaglio che sia prodotto dal gruppo fondato da Brad Pitt e coprodotto e interpretato dalla schieratissima Tilda Swinton ? No, non lo è. Accanto a lei, tra gli altri, Jake Jillenhall, Paul Dano e l’orientale Steven Yeun  di “The walking dead”. Del maialone extralarge che porta il nome di Okja ti innamori all’istante. E’ una creatura digitale creata da Erik-Jan De Boer, il “papà”della tigre di “L’odissea di PI”, è modellato su un ippopotamo, è percepito come un animalone femmina sulle 6 tonnellate ed è il cucciolo dei sogni di ogni bambino.

Purtroppo in realtà Okja è un prodotto OGM creato in laboratorio da una multinazionale dell’agro-chimica, tipo Monsanto, guidata dalla rapace Swinton che rivernicia come umanitaria e ambientalista una potenza costruita da suo padre sul Napalm. Il marketing ( sempre bugiardo, è il messaggio ) spaccia i supermaiali come soluzione per la fame nel mondo.

La maialona però è cresciuta tra le montagne coreane in simbiosi con la piccola Mija, che è un doppione di Heidi. E quando viene rapita dal suo Eden per propagandare, a New York, la nuova linea di insaccati Mirando, la bimbetta coreana riuscirà a ricorrerla e riconquistarla. Con l’aiuto di ecologisti d’assalto, Paul Dano in testa, che, dopo averla involontariamente strumentalizzata, ne documentano in un filmato lo stupro ( a un maiale ? Ebbene sì) e le torture.

Film per bambini ? Aspettate di vedere le scene del mattatoio industriale dove si fanno a pezzi i maiali extralarge, la disperata attesa del macello, la mamma che spinge il suo cucciolo fuori dal reticolato. Quel cucciolo si salverà, in Corea, con Mija, che la sua cucciolona l’ha ricomprata ( in cambio di oro massiccio, non per pietà), ma avrà per sempre negli occhi il dolore e le sofferenze di questo sistema.

Ci vogliono bei soldi per girare un film così. Cinque mesi di riprese e “libertà totale”, dice in conferenza stampa il regista coreano parlando di Netflix. E’ incontestabilmente “gauchista”, denuncia il divorzio del capitalismo dal rispetto per l’ambiente, e il suo amore per il cinema progressista degli anni ’70. Come Tilda Swinton,  rigetta la corruzione morale e sociale che è la nostra rovina, e quella di questo pianeta. “Non mangerò mai più carne come prima”, dice la 13enne An Seo Hiun che interpreta Mija.

Nella giornata di concorso cannese, “Okya” trionfa, a mani basse, contro un impresentabile film ungherese, magari politico, magari “sociale”, ma ghigliottinato dai critici senza “se“ e senza “ma”. “Jupiter’s Moon”, che mette ali d’angelo a un rifugiato ( superpoteri acquisiti tipo un “Jeeg Robot” dei migranti ) ha ricevuto dai critici un compatto coro di “BOOH!”. L’Ungheria  è un Paese che ha calato una saracinesca fascista contro i migranti. “Jupiter’s Moon”sarà anche politicamente corretto, ma è un brutto film . Un brutto B-Movie.  Inesorabilmente.


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