Datevi una calmata! E non ce l’ho con questo o quel partito ma con il sistema politico nel suo insieme, caratterizzato da un provincialismo e da una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini che davvero non si sopporta più.
La verità è che il contesto sociale, politico ed economico francese non ha nulla a che vedere con il nostro, a cominciare dalla non piccola differenza legata al fatto che in Francia vige un sistema semi-presidenziale mentre la nostra è e deve rimanere una democrazia parlamentare.
Va bene, dunque, l’Inno alla gioia, va bene lo stile mitterrandiano del nuovo “monarca repubblicano” d’Oltralpe, va bene l’emozione che abbiamo provato ieri sera vedendo questo ragazzo passeggiare nella piazza del Louvre davanti ad una folla che prima ascoltava l’inno dell’Unione Europea e poi intonava a squarciagola la Marsigliese, sventolando contemporaneamente il tricolore francese e la bandiera europea, va bene tutto ma il contesto in cui ha vinto Macron non ha nulla a che spartire con il quadro politico italiano.
Innanzitutto, in Francia i partiti, per quanto ammaccati, in crisi ed incapaci di esprimere una classe dirigente in grado di candidarsi autorevolmente all’Eliseo, esistono ancora e, con ogni probabilità, risorgeranno dalle proprie ceneri già fra un mese alle Legislative, tanto che si parla espressamente del rischio di un Parlamento frammentato e di un presidente dimidiato nonostante la netta affermazione contro madame Le Pen. In secondo luogo, l’avversaria comune in Francia era, per l’appunto, la figlia di un ex membro della Repubblica di Vichy nonché riservista dell’OAS. In terzo luogo, questa corsa a salire suoi carro del vincitore è davvero patetica, figlia di un opportunismo che davvero squalifica chi se ne rende protagonista. E passi Renzi, dal quale ormai ci aspettiamo questo ed altro, ma anche figure ben più autorevoli si sono lasciate andare ad un entusiasmo di maniera, privo di sobrietà e del benché minimo senso del limite, che da parte loro non mi sarei mai aspettato.
Molto più serio, invece, l’atteggiamento di alcuni opinionisti francesi, compresi i macronnisti più accesi e sinceri, i quali hanno evidenziato l’ottimismo del soggetto in questione, il suo europeismo autentico, la sua passione per l’idea di una società aperta e accogliente, senza per questo nascondersi le difficoltà che sarà chiamato ad affrontare, il malessere sociale che il voto ha evidenziato, la cospicua percentuale di francesi che ha votato per lui solo perché dall’altra parte c’era un personaggio invotabile a prescindere, senza alcuna convinzione e in molti casi con la morte nel cuore, e infine il fatto che il malcontento nei confronti di Macron è esploso in tutta la sua violenza già oggi, figuriamoci dopo i primi provvedimenti in stile Loi travail che l’enarca sembra intenzionato a varare.
E allora sarebbe stato molto più utile, costruttivo e intellettualmente onesto dire le cose come stanno, ossia auspicarsi che Macron non fallisca, che riesca ad unire un Paese lacerato, che non si riveli il damerino al servizio della finanza internazionale che molti temono che sia e che fra cinque anni non ci si ritrovi a dover fare i conti con l’incubo frontista messo davvero nelle condizioni di vincere a causa del fallimento di un personaggio che, al momento, rimane una grande incognita.
La pochezza di coloro che sono saltati sul carro di qualunque vincitore, italiano e straniero, da Blair a Tsipras e fra un po’ persino su quello di Trump, senza mai riuscire a produrre una sola idea originale che sia una, la pochezza di questi signori è davvero inquietante e spiega meglio di mille analisi lo stato comatoso in cui versa attualmente la politica italiana.
Un ultimo pensiero lo rivolgo, infine, agli autorevoli sostenitori di Renzi che da ieri stanno gongolando come se accanto alla Piramide del Louvre, al posto di Macron, ci fosse stato il loro eroe: ragazzi, l’invito a darsi una calmata è rivolto soprattutto a voi.
Datevi una calmata, in quanto Renzi e Macron non hanno in comune praticamente nulla.
Macron, infatti, è un tecnocrate, allievo di Paul Ricoeur, uomo dai gusto raffinati, coltissimo e capace di fare squadra e di rendersi pienamente conto degli innumerevoli ostacoli che dovrà fronteggiare: non ha assolutamente le mie idee, specie in ambito economico, ma da questo punto di vista è apprezzabile.
Renzi, al contrario, è uno che in vita sua ha fatto solo politica, e passi, che ha fatto il possibile, l’impossibile e oltre per rendersi antipatico a milioni di italiani e che ha sempre predicato la filosofia dell’uomo solo al comando; pertanto lui e Macron costituiscono due pianeti paralleli e destinati a non incontrarsi mai.
Senza contare che lo schema macronnista può funzionare solo se dall’altra parte c’è un personaggio alla Salvini e il campo dei “buoni” è rappresentato da un soggetto alla Monti o alla Calenda. Di Maio, per quanto non mi piaccia, dietro al massimo ha un comico che si ostina a non svolgere il suo mestiere ed un blog dai toni spesso discutibili, non il nazi-fascismo di Vichy o la vergogna di chi contrastava De Gaulle nei giorni in cui concesse, di fatto, l’indipendenza all’Algeria. Allo stesso modo, i 5 Stelle saranno bizzarri, sgangherati, magari anche un po’ di destra ma non hanno nulla in comune con il Front National, trattandosi di un unicum nel panorama politico occidentale, frutto della liquefazione del sistema istituzionale italiano e della tragica scomparsa di qualsivoglia forma di partito.
Il rischio, quindi, è che la chiamata alle armi che ha funzionato in Francia contro la Le Pen, alle nostre latitudini, incarnata da Renzi e applicata a Luigi Di Maio, susciti l’ilarità di milioni di persone, sortendo l’effetto opposto a quello auspicato dagli enmarchisti di casa nostra, ieri blairiani e domani si vedrà.
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