Sala gremita di persone attente, molti giornalisti, operatori sociali, e volontari dell’accoglienza. Un mondo di persone che non accettano gli stereotipi, che rifiuta il linguaggio dell’odio, che cerca soluzioni praticabili per problemi complessi. Del dibattito tenutosi a Vicenza nell’ambito del Working Title Festival, al quale ho partecipato in rappresentanza di Articolo 21, sezione Veneto, richiamando l’attenzione sulle indicazioni della carta di Roma in materia di immigrazione, mi hanno colpito tre cose, oltre all’affluenza.
La prima, l’enorme difficoltà di integrazione di un rifugiato politico, nonostante lo status di rifugiato normativamente sia quello più protetto. I problemi della “terza accoglienza” li hanno denunciati i coniugi afgani Razi Mohebi e Soheila Jvaheri , rifugiati politici in Italia dopo un lungo e doloroso viaggio per giungere qui. Ebbene le legge italiana impedisce loro di lavorare in quanto non possono sottoscrivere le regie. “Ma non possiamo neppure andarcene per lavorare altrove” ha lamentato Sohebi – Insomma siamo degli invisibili”. “Siamo vivi, sopravviviamo, hanno soddisfatto il nostro corpo biologico ma non tutto il resto. Possiamo stare qui ma non possiamo fare nulla. In Italia siamo del non cittadini” ha detto Razi Moebi.
Di segno opposto invece il percorso descritto da Anna Bertrand della cooperativa sociale Progetto Tenda di Torino, aderente alla rete Senza Asilo. “Abbiamo affrontato il problema dei doppi dinieghi ossia di coloro che hanno ricevuto il rigetto della richiesta di asilo sia dalla Commissione territoriale sia dagli organi giurisdizionali investiti della domanda (Tribunale di primo grado e di appello”. Molte di queste persone in attesa di esito della domanda hanno realizzato percorsi di eccellenza nei centri di accoglienza e pur avendo la possibilità di un’autonomia lavorativa si ritrovano di fatto a ricadere nella clandestinità. In alcuni casi a Torino, anche grazie all’attenzione delle istituzioni e dei media che in questa situazione hanno svolto un ruolo positivo spiegando la razionalità della nostra proposta, siamo riusciti ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari per l’integrazione anche a chi aveva vista respinta la domanda. Una buona pratica che anche i quotidiani hanno compreso e spiegato ai lettori. E questa è una delle strade che intendiamo continuare a battere per affrontare questi casi drammatici”.
La terza cosa che mi ha colpito e che come la seconda rappresenta quelle buone pratiche di accompagnamento sociale dei richiedenti asilo, è l’esperienza di “prima accoglienza” della della Cooperativa sociale Tangram di Vicenza che al fine di facilitare l’integrazione lavorativa dei giovani che arrivano da noi e sono in carico alla cooperativa, integrano economicamente per un periodo limitato di tempo il costo del lavoro a carico delle aziende che assumono i richiedenti asilo. Questo per favorire l’inserimento dei richiedenti asilo. Tra gli esempi positivi di interazione anche l’esperienza di Arouna Camara, un giovane richiedente asilo proveniente dal Mali, che al momento sta operando come volontario.