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Rai. Campo dall’Orto a Link: “la memoria dev’essere ispirazione per la vita quotidiana”

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Disegnare la Rai del futuro. Difendere il servizio pubblico che deve informare ma anche prendere posizione sui fatti. Accompagnare il Paese verso un’alfabetizzazione digitale, sull’esempio dell’unificazione linguistica avvenuta negli anni Cinquanta. Nessuna censura ma legame ben saldo col progresso della scienza e della medicina. Di cui i vaccini sono una conquista fondamentale del nostro tempo. Ergo: “Report” non chiude, ma stiamo tutti più attenti di fronte a temi che toccano la vita delle persone.
Antonio Campo Dall’Orto a tutto campo, ieri a Link, stimolato dalle affilate riflessioni di Beppe Giulietti (molto applaudite dall’affollata platea) e dalle domande di Cristiano Degano, presidenti rispettivamente della Fnsi e dell’Ordine regionale dei giornalisti.
Prima dell’inizio del dibattito, in una piazza Unità piena di sole e turisti, il dinamico direttore generale della Rai torna col pensiero alle sue precedenti venute a Trieste. «Ricordo quando portammo Isle of Mtv in questa piazza, invasa da una folla oceanica, da qualche parte conservo ancora la prima pagina del “Piccolo”». Era il luglio 2005, l’uomo di Castelfranco Veneto (classe ’64) dirigeva Mtv, per il megaconcerto arrivarono star del rock e del pop, che attirarono da mezza Europa una folla senza precedenti. «Poi sono tornato qualche anno dopo, per partecipare a una Barcolana purtroppo senza vento. Ma lo spettacolo delle vele era comunque splendido». All’epoca c’erano meno problemi? «Certamente, ma noi andiamo avanti comunque…».
Alcuni di quei “problemi”, che poi sono sfide professionali, costituiscono il nerbo del dibattito in piazza della Borsa. Che si apre a sorpresa con un collegamento via Skype con Lucia Goracci, inviata della Rai a Istanbul, per seguire la vicenda di Gabriele Del Grande, il reporter e regista trattenuto senza capi di imputazione in un centro di espulsione turco. Scopriamo che la sede Rai di Istanbul è intitolata ai colleghi Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin, nel ricordo dei quali è nata la fondazione che organizza il premio giornalistico e il festival Link. «Amici e colleghi che usano la memoria per costruire il futuro», chiosa Giulietti.

Di memoria parla anche Dall’Orto. «Per disegnare la Rai del futuro dobbiamo sapere dove abbiamo le radici. La memoria dev’essere ispirazione per la vita quotidiana. Anche per questo, attraverso la fiction civile, raccontiamo le storie delle persone che hanno dato la vita per il nostro Paese». Ancora: «Dobbiamo decidere che ruolo vogliamo avere nel mondo di domani. Il contesto muta con il cambiamento della società e con l’evoluzione tecnologica, ma la nostra missione resta la stessa: universalità significa essere parte della vita quotidiana della gente attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione». Sì all’inclusione sociale, dice, no all’omologazione.
Giulietti vira sul tema del contratto di servizio che la Rai deve rinnovare con il governo. «Servizio pubblico è portare nelle case la conoscenza di quel che accade nel mondo, per citare sempre Papa Francesco illuminare le periferie, anche quelle del nostro Paese. Negli anni Cinquanta la Rai ha svolto un ruolo di unificazione linguistica e sociale. Dopo la guerra ha alfabetizzato le zone più povere e arretrate. Il maestro Manzi del futuro dev’essere digitale, bisogna promuovere la conoscenza di nuovi alfabeti». E propone di inserire nel prossimo contratto di servizio il manifesto contro le Parole Ostili, nato proprio a Trieste, due mesi fa.
Il megadirettore annuisce e concorda, la discussione sul contratto di servizio è necessaria, «avendo ben presente che il servizio pubblico è uno dei regolatori della democrazia. È chiaro che l’alfabetizzazione digitale è il nostro compito: dobbiamo trasferire il nostro sistema valoriale al mondo nuovo, che ha pregi e difetti».
Giulietti punta il dito sugli eterni mali della Rai. «I nemici del servizio pubblico sono quelli che ostacolano la riforma. Trent’anni fa c’era la lottizzazione Dc-Psi-Pci. Oggi quel mondo, quei partiti non esistono più. Ma il sistema risponde ancora a quei criteri. Oggi metà del Paese non vota, dobbiamo dar voce al malessere che avanza. Renzi aveva detto liberiamo la Rai dai partiti, non è stato fatto.

Gentiloni, quando nel 2006 era ministro, aveva presentato una proposta di riforma che era valida e va ripresa. La Rai non è dell’uno o dell’altro, appartiene al Paese. E non può fare la fine di Alitalia». Poi rievoca una suggestione targata anni Cinquanta: un gruppo di cervelli incaricati di trovare talenti di libertà, di creatività, di pensiero critico. Altra suggestione: un consorzio investigativo, come avviene in tanti paesi europei. «Perchè dobbiamo decidere se le inchieste annoiano o sono l’essenza del servizio pubblico».
Campo Dall’Orto: «La prospettiva dell’innovazione è fondamentale. Personalmente ho sempre puntato sul talent scouting, anche a Canale 5, a Mtv, a La7. Con Rai Academy stiamo seminando sul lungo periodo, la prospettiva non è la singola stagione, dobbiamo fare cose che lascino il segno. Il giornalismo investigativo si basa sull’approfondimento, mentre il mondo oggi va da un’altra parte: è una sorta di lavoro artigianale, solo il servizio pubblico può investire in questa direzione».
Chiusura di Giulietti sul diritto di critica che vale verso tutti, anche verso “Report”, ma sui temi delicati meglio un dibattito duro che il silenzio. Insomma, meglio aggiungere voci che levarne. Dall’Orto concorda e aggiunge: «Scienza e medicina tengono assieme il mondo. Il servizio pubblico deve abbracciare il progresso».


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