Farmacovigilanza. Una parola non tanto astrusa ma che probabilmente è difficile da far passare, visto che l’attenzione dei media ha preferito sintetizzare con l’espressione “falsità sui vaccini” il contenuto dell’inchiesta di Alessandra Borella andata in onda lunedì 17 aprile nella nuova edizione di Report, condotta da Sigfrido Ranucci. Un’inchiesta che ha sollevato un polverone, con l’aiuto di politica ed alcuni giornalisti e divulgatori più o meno schierati, più o meno in buona fede. La puntata di Report e dell’inchiesta sulla farmacovigilanza e la trasparenza di alcune procedure ha riguardato due vaccini contro il papilloma virus: Cervarix e Gardasil. Due vaccini che, secondo gli scienziati intervistati dalla Borella, avrebbero causato delle reazioni avverse dopo la loro somministrazione.
Farmacovigilanza si diceva. Perché c’è un evidente problema di incoerenza di dati, raccolti durante questi anni di vaccinazioni HPV. Numeri che non coincidono tra livello regionale, sistema sanitario nazionale e l’Agenzia del Farmaco (AIFA). Molte Regioni non hanno inviato a Report questi dati. Li manderanno? Non si sa. Ma pare non essere il problema per tutti quelli che oggi raccontano il possibile “stop” della Rai al programma di Ranucci.
Molti di quelli che si sono scagliati contro il programma di Raitre hanno chiesto a gran voce il “contraddittorio”, vecchio tormentone del ventennio berlusconiano. Dal video è molto chiaro che proprio l’EMA – Agenzia europea per i medicinali – e la sua direttrice per la Ricerca e lo sviluppo Enrica Alteri, si opponeva alla denuncia del ricercatore danese Peter Gøtzsche di Cochrane Nordic, ente che si occupa di controllo e sicurezza delle pratiche sanitarie e che è parte della rete mondiale Cochrane Collaboration. Da questa organizzazione mondiale, di ricercatori indipendenti, è partito un reclamo indirizzato al Mediatore europeo, Emily O’Reilly, che ha proprio il compito di analizzare le denunce fatte nei confronti di enti dell’Ue. Un fatto, questo. Che l’inchiesta di Report ha raccontato tramite interviste alle persone coinvolte nella vicenda.
Chi è entrato nel merito dell’inchiesta – pochissimi a dire la verità – hanno contestato l’intervista dell’immunologo Yehuda Shoenfeld, dipinto come “uno scienziato” di poco conto o ancora peggio antivaccinista. Strano! Mai trattato così nelle lectio magistralis tenute nel mondo e in Italia (a Reggio Emilia ad esempio). Lo stesso Shoenfeld, nel suo intervento a Report dice senza giri di parole: “Sono a favore dei vaccini, penso che siano la migliore rivoluzione degli ultimi 300 anni. Ma non sono convinto che il vaccino contro l’HPV possa prevenire il cancro”. Solo quel vaccino, solo perché i dati sono contrastanti, solo perché – ad una analisi esatta del contenuto dei medicinali – si riscontrano tracce di “alluminio, silicio magnesio, polveri di rame stagno piombo, ferro cromo, acciaio, calcio zinco”, come dice in camera il fisico e bioingegnere Antonietta Gatti. Insomma nessun “ciarlatano” (cit. Elena Cattaneo) o persona senza almeno laurea e specializzazioni, ma alcuni scienziati che oggi vorrebbero semplicemente più trasparenza da parte di aziende farmaceutiche pronte a somministrare al posto dei placebo non sostanze inerti come l’acqua salina, ma sostanze come l’alluminio, presente appunto nei vaccini come adiuvanti: “Così non è più un placebo! – ha detto a Report Peter Gøtzsche di Cochrane Nordic – Non si distingue dal farmaco e potrebbe causare le stesse reazioni avverse e quindi i dati ottenuti non sono attendibili”.
Dati attendibili. Questo vorrebbero alcuni scienziati. E anche noi, semplici cittadini, che della scienza ci fidiamo e per questo continuiamo a vaccinare i nostri figli. Perché una notizia fake si riconosce, perché non siamo davanti ad una bufala, ad un caso di post-verità, perché forse non abbiamo sentito le scuse dei direttori di Tg e degli autori dei programmi che hanno “pompato” negli anni passati il “metodo Di Bella” e il metodo “Stamina” di Vannoni.
Solo Il Fatto quotidiano e Il Mattino stamattina, dopo le infuocate polemiche di queste ore, hanno chiesto una intervista a Luigi Garattini, farmacologo di indubbia indipendenza, ricercatore, medico e docente in chemioterapia, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, che – comparso anche nell’inchiesta di Report – ha sottolineato dopo la messa in onda del servizio: “Da sempre sono assolutamente favorevole ai vaccini. Sono a favore di quelli raccomandati e di quelli obbligatori. Occorre oggi una farmacovigilanza più attenta, seria e attiva. Il vaccino Hpv che agisce contro il virus è efficace, però ancora non sappiamo quanto poi, effettivamente, il suo risultato finale lo sia. Per vedere se i tumori diminuiranno ci vorranno anni. Per il vaccino Hpv quindi, bisogna stare attenti e vedere bene gli effetti collaterali. C’è una grave carenza perché gli effetti collaterali vengono raccolti sulla base di rapporti spontanei e non su ricerche specifiche. Sono persuaso dunque, che ci voglia una farmacovigilanza attiva per vedere bene quali siano gli effetti tossici. I benefici sono quelli che sono ma dobbiamo capire le conseguenze tossiche e in questo, ritengo che non si stia facendo ancora un lavoro sufficiente. Ma sia chiaro, succede anche con i farmaci in generale. Io sono convinto che manca una farmacovigilanza seria”. “Report non ha mai messo in dubbio l’utilità dei vaccini né ha fatto alcuna campagna contro: chi lo asserisce non ha visto la trasmissione – dice Sigfrido Ranucci nelle interviste rilasciate alla stampa – Ho detto subito, all’inizio della puntata, che i vaccini sono utilissimi, rappresentano la scoperta più importante per la prevenzione”.
Oggi su La Repubblica, che dedica le prime quattro pagine alla vicenda Report, c’è anche una intervista ad Elena Cattaneo che parla di “scienziati ciarlatani”, come dicevamo, mentre in prima si dice che gli esperti assicurano “il 100% di riuscita del vaccino”. Ma la lettura dell’intera vicenda forse si trova a pagina 4. Quando si parla di chiusura del programma e di uno stop alla Gabanelli, incaricata come vice direttore di Rai24 (con contratto a tempo determinato) di lavorare alla preparazione del piano per l’informazione sul digitale Rai. Si apre insomma un versante che poco ha a che vedere con l’inchiesta sulla farmacovigilanza, soprattutto leggendo l’intervista a Guelfi, membro Cda Rai, che chiede “veloci e proficui approfondimenti con Campo Dall’Orto”. Report non è il tema centrale dell’intervista, ma è la scusa per parlare di “ammodernamento dell’azienda, piano editoriale e criteri di ripartizione delle risorse”. Poi si passa alla domanda sul programma di Ranucci: “Sui vaccini, sui nostri figli, non si scherza. Che queste stupidaggini finiscano a Report fa parte del dibattito sul confine tra la responsabilità e la battaglia per decimi di audience”. Nessun riferimento al servizio pubblico insomma. Accusando mica tanto velatamente la redazione di Report di rincorrere l’auditel.
Sui giornali si parla pochissimo del revisore dell’EMA Pasqualino Rossi, già conosciuto al pubblico di Report dopo l’inchiesta sul rapporto tra aziende farmaceutiche e approvazione dei farmaci per un presunto caso di corruzione, decaduto durante il processo per prescrizione. Si parla pochissimo degli strumenti di segnalazione da parte delle Regioni, di una regia unica e coordinata, di una banca dati accessibile, trasparente e magari online, di processi di verifica dei dati inseriti.
I giornalisti di Report sono eroi senza macchia? No. Non è così. Sono professionisti e qualche volta pure chi fa il proprio lavoro con professionalità può sbagliare. Non è questo il caso, molto probabilmente. Ma la buona fede, la ricerca della verità, il racconto del reale è intatto. “Mancavano le voci delle istituzioni” ha affermato oggi Ranucci alla domanda sulla parzialità del pezzo. Ma come si fa quando l’Aifa, il Ministero della Salute, l’Istituto superiore della Sanità respingono al mittente la richiesta di intervista? C’era comunque l’EMA. Non c’era la ministra Lorenzin (che ha a cuore la vicenda vaccini almeno quanto quella della obiezione dei medici sulla legge 194) che dopo Report ha subito tuonato: “Diffondere paura propugnando tesi prive di fondamento e anti scientifiche è un atto di grave disinformazione! Senza alcun contraddittorio”.
Facile per molti chiedere inchieste, approfondimenti e informazione di qualità durante i convegni, i talk, gli eventi, i festival. Ma alla prima inchiesta, al primo scricchiolio che mette in dubbio un intero sistema succede l’impossibile. E una intera redazione rischia di rimanere sola contro tutti. Certo, Report quest’anno ha puntato davvero in alto: il pezzo sul controllo del quotidiano dell’Unità del Pd, le acque e le ombre della multinazionale Coca-Cola, gli affari mondiali dell’Eni, le fonti di finanziamento dei produttori del cinema (pure un grande attore come Benigni, da sempre contro i bavagli dell’informazione e a favore di Report che stavolta però ha preferito mandare una diffida, trasformata in querela, attraverso il suo avvocato Gentiloni), e le aziende farmaceutiche di due vaccini contro HPV. Insomma forse ha toccato il 70% degli inserzionisti classici dei media, e i guadagni degli editori dell’informazione.
Forse la più grande “leggerezza” di Report, a mio modestissimo avviso, è quello di aver dedicato solo 20 minuti ad una inchiesta che ne richiederebbe almeno il triplo. Ma sono certo che Ranucci e la sua redazione, un mix di giovani reporter e giornalisti d’esperienza, tornerà sull’argomento. Su Report. Su Raitre. In prima serata. Perché Report non si tocca.
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