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Usa: attacco in Siria e politiche interne, reazioni e contestazioni

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Con l’approssimarsi del cruciale giro di boa dei primi 100 giorni, l’Amministrazione Trump continua  a veleggiare a vista. Lo ha confermato perfino l’attacco a sorpresa contro le basi siriane con l’arsenale chimico di venerdì notte. Una mossa che la gran parte di politici, media e pubblico americani ha preso tutt’altro che bene. La deputata democratica Tulsi Gabbard, che a gennaio aveva incontrato il presidente siriano Bashar al-Assad, ha subito espresso un duro giudizio: “Mi rattrista e preoccupa vedere che Trump ha dato ascolto ai ‘falchi’ decidendo senza preavviso di intensificare la nostra guerra illegale per rovesciare il governo siriano“.

Mentre pochi credono che l’attacco significhi la fine dell’idillio (vero o presunto) con Putin, più realista la posizione sintetizzata da Yazan al-Saadi, scrittore siriano-canadese: “Entrambe le super-potenze non puntano affatto all’autodeterminazione o alla giustizia per i cittadini siriani“. Rincara la dose Medea Benjamin, co-fondatrice di CodePink: “Se vogliamo fare qualcosa di positivo per loro, dovremmo togliere immediatamente il divieto d’ingresso sui rifugiati siriani e ospitarli in Usa“.

Tra le reazioni mediatiche a caldo, qualcuno suggerisce che il lancio dei 59 missili Tomahawk puntasse soprattutto a farsi amici altri ‘falchi’ democratici (inclusa Hillary Clinton) e poter così risollevare la popolarità interna di Trump, già al di sotto dei minimi storici (40 per cento, riporta l’ultimo poll di RealClearPolitics). Ma secondo la testata online Politico ciò sembra alquanto improbabile e dipende piuttosto da una “serie di fattori e passi futuri, nessuno dei quali è chiaro al momento“. Anche il New Yorker sottolinea i rischi di escalation globale e chiede di fare subito chiarezza… Continua su vociglobali


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