“Abbiamo la sua motocicletta in via Dusmet”. Lunedì sera ero in Consiglio comunale, a Palazzo degli elefanti. La discussione sul bilancio era iniziata da qualche ora quando mi ha chiamato la Questura, dicendomi quelle parole. Avevo posteggiato davanti la posta, dietro piazza Università. Lascio i posti riservati al pubblico e m’incammino verso piazza Borsellino. Trovo una volante della polizia e la mia moto con l’accensione scassata e il bloccasterzo rotto. Se l’erano proprio rubata. E con immensa fortuna l’avevo ritrovata prima ancora di sapere del furto.
Sul marciapiede umido, al freddo, accovacciato, guardato a vista da due poliziotti, un bambino. Undici anni. Alle dieci di sera, non so se solo o in compagnia, ha “schiavettato”, rotto il bloccasterzo e portato la mia moto da piazza Università a via Dusmet, prima in sella e poi a spinta. Appena ha visto la polizia si è fatto prendere dal panico, ha abbandonato la moto ma è stato comunque raggiunto da quei grandi uomini in divisa. La moto era molto ma molto più grande di lui. Teneva gli occhi bassi. Ha detto alla polizia di aver ricevuto venti euro da “uno nero” per portare la moto in piazza Alcalà.
Abita a San Cristoforo ed è solo un bambino. Io a undici anni giocavo a casa e alle dieci ero già a letto. Per lui uno dei giochi è anche questo: rubare una moto. Lo hanno portato in Questura, facendolo sedere in una gelida stanza. Per aspettare mamma e papà, che lo venissero a prendere, per riportarlo a casa, finalmente a letto. Suo padre era stato fermato qualche giorno prima, i poliziotti lo hanno riconosciuto non appena entrato in questura.
Avevo trovato la moto ma quel bambino era perso. La mia testa era al GAPA, il centro di aggregazione che a San Cristoforo da ventinove anni tenta di sottrarre alla criminalità i bambini del quartiere. Al Centro Midulla dove ogni giorno decine di bambini della sua stessa età vanno a divertirsi, con il circo, con i giochi, quelli veri. Perché lì di Salvo, Jonathan, Micheal, Marco, Matteo ce ne sono tanti, tutti che si comportano da adulti ma bambini pronti a inseguire una palla, a truccarsi il viso, a piangere per una caduta.
Quel bambino aveva incrociato così stupidamente la mia vita. Quasi in arresto in quei tristissimi uffici della polizia. A mezzanotte, con addosso i suoi occhi, quelli del bambino che mi ha rubato la moto, sono tornato in Consiglio comunale. A prendere atto che milioni di euro venivano tagliati con freddezza a scuole, servizi sociali, diritto allo studio, cultura, centri di aggregazione. Proprio a Catania, la città dove i bimbi di undici anni rubano le moto.