Ma poi, dissolto il fumo dei missili Tomahawk, si vede subito con chiarezza che la sua è una “fake action”, per dare agli USA e al mondo la soddisfazione di una sanzione. Ma in realtà Assad è più al sicuro di prima. Finché continua l’idillio tra Trump e Putin – e tra Putin ed Assad – tutto rimane come prima. Un gioco delle parti concordato con Putin, che considera il criminale di Damasco un argine – seppure scomodo – al terrorismo jihadista. E le bombe nella metro di San Pietroburgo sono troppo fresche per rivedere la sua posizione. Così il Cremlino non si oppone al bombardamento in Siria, purché sia dimostrativo. Anche se ufficialmente continua a difendere l’innocenza di Assad. E gli Usa colpiscono in breaking news mondiale un aeroporto deserto dell’Erode siriano, ma accettano di non spingersi oltre.
Finito il raid, il presidente Usa fa l’occhiolino a Putin e incassa il consenso pigro dell’ Occidente.
Senza più valori, se non quelli quotati in borsa.
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