Una bomba artigianale, infida, piena di chiodi e pezzi di ferro: esplosa quando la metropolitana era sotto una galleria. Il terrore torna anche in Russia nella sua città più bella, San Pietroburgo, e forse non è un caso, durante la visita del presidente Putin, atteso a un vertice con il bielorusso Lukashenko. Trecento chili di tritolo. Dieci morti, cinquanta feriti e naturalmente una serie infinita di interrogativi. I sospetti, rilanciati dalla Tass, sono già caduti su un uomo salito poco prima alla fermata dell’istituto di Tecnologia ma solo per l‘abbigliamento caucasico. Ma un secondo ordigno trovato inesploso in un’altra stazione, nei pressi di piazza della Rivoluzione, fa nascere molti dubbi anche per la consolidata abitudine di Mosca di affibbiare ogni nefandezza ai ceceni.
Certo è presto, ma visto che sarà sicuramente impossibile anche nei prossimi giorni scoprire chi c’è dietro il sangue, tanto vale tentare subito una serie di ipotesi. Certamente la tensione politica è molto forte in questi giorni e chissà se dietro gli oppositori c’è qualche oligarca, ma c’è molto fermento adesso anche in Daghestan, per non parlare naturalmente della Siria dopo l’appoggio dichiarato ad Assad, già “punito” presumibilmente con altri attentati come, forse, l’aereo precipitato sul Sinai. L’ipotesi più attendibile riguarda comunque i foreign fighters. Ne sono partiti a suo tempo almeno tremila dall’ex Unione Sovietica per Siria e Iraq ma dopo il graduale ripiegamento dell’Isis non meno di trecento sono già tornati a casa, pieni di odio. Ma non si può del tutto escludere, in conclusione, anche la teoria complottista. Che cioè un uomo forte come Putin in questo momento ha bisogno di dimostrare la sua forza. E le lacrime della città degli zar capitano proprio a proposito.