L’Italia continua a violare gli standard internazionali in materia di libertà di stampa. Questa volta la bacchettata arriva dal Comitato Onu sui diritti umani che ha constatato, nelle osservazioni conclusive al sesto rapporto periodico divulgate il 28 marzo, diverse violazioni del Patto sui diritti civili e politici del 1966. In particolare, il Comitato ha stigmatizzato il comportamento dell’Italia che non ha ancora varato una modifica del codice penale (articolo 595) e della legge sulla stampa (articolo 13) nella parte in cui è previsto il carcere nei casi di diffamazione.
Il Comitato non è stato in alcun modo soddisfatto delle note fornite dal governo, il quale ha richiamato diversi progetti di legge, tutti ancora in discussione. Con la conseguenza che l’Italia continua a non rispettare il Patto non avendo eliminato il carcere e non avendo proceduto alla depenalizzazione della diffamazione. Inoltre, il Comitato ha chiesto al governo di avviare iniziative affinché le querele non siano usate come strumenti per bloccare la libertà di stampa.
«Si tratta – commentano il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti – di una decisione che conferma quello che la Federazione nazionale della stampa italiana sta denunciando da tempo e che dovrebbe spingere il governo ad accelerare i tempi dell’approvazione definitiva dei progetti di legge che riguardano la cancellazione del carcere per i giornalisti e il contrasto alle querele temerarie. Si tratta di forme inaccettabili di bavaglio al diritto di cronaca e alla libertà di informazione che, come sottolinea il Comitato Onu per i diritti umani, sono incompatibili con i principi che devono regolare la vita democratica di un Paese perché limitano il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. Per questa ragione, considerati anche gli impegni recentemente assunti dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, non sono più possibili rinvii e perdite di tempo. Peraltro un intervento in questo senso consentirebbe finalmente all’Italia di abbandonare quell’umiliante e penoso 77° posto nelle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa».