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Taranto. Cittadini in piazza. Chiedono giustizia per un territorio ostaggio degli interessi di Stato

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Sabato 25 febbraio, circa 7000 persone sono scese in strada a Taranto per chiedere giustizia per un territorio ostaggio degli interessi di Stato. Al fianco della città anche rappresentanze di tanti altri territori d’Italia martoriati dall’inquinamento come Trieste, Bagnoli, Salerno ed Augusta. Non è stata la prima mobilitazione della città, negli ultimi anni la scoperta dei fatti e la conseguente presa di coscienza di tanti hanno dato vita a diverse forme di protesta e resistenza. Le bugie sui dati dell’inquinamento, le indagini poi sfociate nel processo “Ambiente Svenduto” – il più grande processo ambientale della storia del Paese – le intercettazioni che testimonierebbero l’enorme e ramificato sistema di corruttela attorno all’inquinamento ambientale ed alla carenza di controlli attorno all’Ilva, hanno mostrato ai tarantini cosa davvero si nascondesse dietro a quella fabbrica e quale il vero costo dei suoi posti di lavoro: non solo in termini di vite umane ed ambientali inaccettabili, ma anche la totale mancanza d’interesse da parte della classe politico e dirigenziale locale a sviluppare qualsiasi forma di alternativa economica che rompesse lo stato d’emergenza ideale per tanti.

L’ennesima partita a danno della popolazione stava per consumarsi proprio nel processo in corso, in cui il Governo – attuale gestore dell’Ilva – imputati e Procure di Taranto e Milano erano prossimi a patteggiare danni e reati stimati in un primo momento in oltre otto miliardi di euro, con 1,3 miliardi di ciò che resta del patrimonio dei Riva ancora rintracciabile.

L’accordo è saltato a causa di una giudice milanese che ha sentenziato come “incongrue” le cifre concordate, sia in merito ai danni procurati, che alla gravità dei reati contestati. Ci si riproverà senz’altro e probabilmente per cifre appena più alte, ma c’è un’altra partita che il Governo dovrà giocare, su un altro campo. Dovrà cioè dimostrare all’Europa che quei soldi verranno destinati alle bonifiche del territorio e non ad agevolare l’acquisizione di Ilva da parte delle cordate che sono alla finestra. Questo perché nel primo caso il passaggio di quei soldi sarebbe lecito, nel secondo si configurerebbe come aiuto di Stato, passibile dunque dalla Comunità Europea con infrazione e multe ai danni dell’Italia. Ma tutto porta a pensare che quei soldi siano sotto sotto destinati proprio al fine peggiore e cioè a rendere un favore ai compratori, giustificando tutti i timori portati da Taranto sabato in piazza.

Se infatti l’interesse del Governo fosse davvero quello di destinare quei fondi alla bonifica di Taranto, con la stessa paterna attenzione, si preoccuperebbe anche di chiedere all’Europa i fondi previsti per la riqualificazione professionale e l’accompagnamento (per ben due anni) dei lavoratori delle aree di crisi verso nuovi lavori (fondi FEG). Fondi che non chiede, nonostante lo stesso Ministero dell’Economia, già dal 2012, abbia dichiarato Taranto “area in situazione di crisi industriale complessa”.

O chiederebbe il risarcimento dei danni agli inquinatori, anziché procedere a quello straccio di bonifiche fatte al quartiere Tamburi a spese dei contribuenti. Stessa responsabilità che il Governo divide anche con Comune e Provincia di Taranto, mai capaci di pretendere il risarcimento, neppure per la pulizia di strade e guardrail dal rosso del metallo ferroso di Ilva.

Se poi il Governo avesse davvero a cuore Taranto, non cercherebbe, come sembra, di eludere le prescrizioni più importanti previste nell’Autorizzazione Integrata Ambientale, mediante i più blandi Piani ambientali. Si preoccuperebbe, prima di ogni altra cosa, di arrestare la contaminazione della falda che porta le acque al mar Piccolo e ai pozzi adiacenti. O di far coprire i parchi minerali. Ma questo costerebbe troppo e poco importa delle conseguenze che continuano a perpetrarsi su tarantine e tarantini.

Se, infine, l’interesse delle istituzioni fosse per i tarantini, anziché per le banche creditrici… si preoccuperebbe dei troppi drammi delle morti bianche e non del lavoro in sé. E piuttosto che buttare soldi pubblici per casse integrazioni, perdite per 2,5 milioni di euro al giorno, rischio di infrazione europea e costi sanitari abnormi a causa dell’inquinamento, ritirerebbe l’Autorizzazione Integrata Ambientale concessa all’Ilva, chiuderebbe gli impianti e spenderebbe gli stessi soldi per bonificare e scrivere un altro futuro per il territorio.

Per tutto questo i tarantini sabato in piazza non hanno solo manifestato dissenso, ma si sono promessi di continuare a presidiare tutti i luoghi in cui verrà deciso il loro futuro e di pretendere, stavolta, di farne parte attivamente.

I cittadini del percorso Giustizia per Taranto


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