Cominciò tutto nel marzo di cinquantanni fa: era il 1967 e nacque il mito dei Pink Floyd, una delle band più famose ed apprezzate al mondo.
Cominciò con il singolo “Arnold Layne”, nell’epoca del “Swinging London”, dei Beatles, dei Rolling Stones e dell’Inghilterra Mecca della musica e dell’irriverenza, della passione civile e delle innovazioni; un’isola profumata di futuro e di speranza, di lotte civili e di grandi battaglie sociali, prima del thatcherismo, della resa, dell’avvento dell’egoismo, della solitudine elevata a virtù e del tutti contro tutti, in una sorta di riproposizione aggravata dell'”homo homini lupus” di plautiana memoria.
Fu, quel primo successo, l’inizio di un’epopea quasi ineguagliabile, con Roger Waters in prima linea sia nel corso di quell’avventura corale durata quarant’anni (anche se Waters lasciò il gruppo nell’85) sia dopo, quando il gruppo si sciolse e rimasero i suoi brani di ineguagliabile bellezza e potenza espressiva. Brani profondamente politici, brani di battaglia sociale e civile, brani intrisi di passione, di rabbia, di una speranza costruttiva e non puramente utopistica; brani come “Another brick in the wall”, con il suo grido contro tutti i muri, contro tutte le frontiere, contro tutti gli ostacoli volti a mettere gli uomini in contrapposizione con altri uomini.
Una band, i Pink Floyd, nata negli anni in cui la politica per molti ragazzi ha rappresentato quasi tutto, in cui è stata ritrovo e comunità, luogo d’azione e di pensiero, con la musica protagonista di tutti i passaggi rivoluzionari che si compirono nel mondo, quando ancora si riusciva a credere in qualcosa, quando ancora non ci eravamo rassegnati, quando non si viveva ancora quasi unicamente di ricordi, al punto che oggi sembrano essere nostalgici persino i ragazzi di vent’anni che, purtroppo per loro, non hanno mai vissuto quelle emozioni, quei raduni, quei concerti e quelle storie ricche d’umanità che hanno costituito una delle principali fonti d’ispirazione della band londinese.
Quest’anno la capitale della musica, progressivamente trasformatasi in regno della finanza, segno amaro dei tempi, celebrerà con una mostra questa storica band, prendendo spunto proprio dall’anniversario del brano da cui tutto ha avuto inizio, e i protagonisti della medesima vivranno una seconda giovinezza, insieme ai loro cimeli, alle loro rughe e al tempo che è trascorso da allora, per illudersi e illudere ancora il loro pubblico, la loro platea universale che sia possibile rivivere le passioni di quei giorni. Non è così, ma basterà visitare la mostra allestita al “Victoria and Albert Museum” (13 maggio-1° ottobre), basterà farsi tornare in mente uno sguardo, una parola, un bacio, un sorriso o anche solo immaginare di esserci stati, quando magari non si era nemmeno nella mente di Dio, per far rivivere una magia che, in fondo, è dentro ognuno di noi e che solo certi brani, solo certe colonne sonore collettive, solo certi attimi trascorsi respirando l’uno sul collo dell’altro sono in grado di regalarci.
Per questo, nonostante siano trascorsi ormai cinquant’anni e nulla ma proprio nulla sia rimasto uguale, quelle note d’anima sono tuttora dentro di noi e ci rimarranno per sempre, libere come la magia interiore di chi non può e non vuole arrendersi alla barbarie contemporanea.