Com’è difficile voler bene alla politica. E’ un amore antico, quasi mai corrisposto, e serve a poco ripetere, come un mantra, che “l’uomo è un animale politico”, perché la saggezza di Aristotele sembra consumata. Non è un problema solo italiano, con quello che si vede in giro per il mondo, ma da queste parti non si è ancora dissolta l’illusione che ogni cittadino dovrebbe capire, conoscere e quindi decidere per il frammento di potere che gli compete. Invece, ancora una volta, l’intersezione tra politica, magistratura e sistema dei media, nell’età della super trasparenza, ci confonde le idee e si trasforma in nebbia caliginosa assai più impenetrabile di quella che avvolgeva, ai tempi di Guicciardini, i rapporti tra piazza e palazzo. Oggi, più che alle informazioni, ci si affida alle suggestioni, con una politica che –a tutti i livelli- non riesce a liberarsi da sospetti e bugie. Nella nostra storia recente è capitato a quasi tutti, dalla Lega di Bossi, che investiva in diamanti e finte lauree i finanziamenti pubblici, a Berlusconi, che per vent’anni ci ha incatenato alle sue vicende private ed aziendali, fino alla condanna definitiva –nonostante le leggi “ad personam”- per frode fiscale. Ma la storia continua e colpisce anche chi ha fatto dell’onestà una bandiera politica, dal M5S, invischiato nelle imbarazzanti vicende del Campidoglio, al Partito democratico, erede –almeno in parte- della (presunta) diversità teorizzata da Enrico Berlinguer, colpito da varie inchieste e che –a quanto pare- non riesce più a gestire in modo serio e trasparente il tesseramento e quindi le primarie per selezionare i propri candidati. La crisi del Pd, che per il momento è ancora il partito di maggioranza relativa e cardine del governo, nasce in parte dalla crisi di Matteo Renzi, sconfitto clamorosamente il 4 dicembre al referendum costituzionale e adesso ulteriormente indebolito dalla confusa inchiesta che si sta stringendo attorno a persone a lui vicinissime, come il ministro Luca Lotti e suo padre, accusato di essere un trafficante di favori. Il Giglio magico ormai è diventato un fiore avvelenato e non è sicuro che Matteo Renzi abbia l’antidoto per ritrovare la sua spinta propulsiva. Non si tratta solo degli scissionisti, usciti proprio quando avrebbero potuto portare le proprie idee dentro un Congresso chiesto a gran voce, ma della delusione di un pezzo del suo elettorato, che gli ha dato fiducia e ora si sente disorientato e in parte tradito. Non tanto, o non soltanto, per gli esigui risultati o il fallimento delle sue riforme, quanto per la caligine del sospetto -che difficilmente verrà dissipato anche se le indagini in corso dovessero concludersi con un nulla di fatto- che suoi amici e parenti abbiano utilizzato in modo improprio la vicinanza con il (suo) potere. Gli elettori del centro sinistra possono essere generosi ma sono intransigenti sulla legalità, che –da sempre- è la loro cifra identitaria. Chi, invece, per quasi vent’anni ha votato Berlusconi, e forse si prepara a rivotarlo, su questi temi è più indulgente perché sa che “così fan tutti” e quindi è inutile scandalizzarsi troppo. Il nuovo elettorato del M5S, da parte sua, ritiene che tutti gli altri siano tendenzialmente colpevoli a priori, mentre le indagini e le vaste zone d’ombra sui propri amministratori vengono vissute come un complotto mediatico che incide poco o niente sulle intenzioni di voto.
Poi, naturalmente, c’è l’Italia, che è difficile da governare, vive una timida ripresa fatta di “eccellenze”, che rischiano di essere solo delle “eccezioni”, ma è ancora immersa nella corruzione e nella burocrazia. La politica, intanto, se la gode perché con il ritorno del proporzionale sarà più divertente trattare e vietare un coerente programma di governo. Qualcuno, citando Altiero Spinelli, ha ricordato che “il valore di un’idea si dimostra non tanto nel suo successo, quanto nel risorgere dalle proprie sconfitte”. Sarebbe bello, a condizione di ricordarci quali erano le nostre idee.
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