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Quella vicinanza (senza parole) quando la morte bussa alla porta

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La riflessione del presidente della Comunità di Capodarco, dopo la morte di dj Fabo. Don Albanesi: la vita è più forte della morte. E a chi è accanto non serve parlare, solo stare vicino

CAPODARCO – “Ci sono momenti drammatici nella vita nei quali la morte bussa alla porta. E le reazioni possono essere diverse: la prima è rifiutarla, la seconda combatterla, la terza desiderarla. In realtà, la vita è più forte della morte”.  E’ il commento di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, dopo la morte oggi di Fabiano Antoniani (dj Fabo), cieco e tetraplegico in seguito a un grave incidente stradale accaduto nel giugno 2014. Più volte nelle scorse settimane aveva lanciato un appello al presidente della Repubblica chiedendo di poter scegliere se vivere o morire e negli ultimi giorni si era nuovamente fatto sentire dopo il terzo rinvio della discussione della legge sul biotestamento, invitando  i politici a fare presto. Poi la scelta di raggiungere la Svizzera.

Una riflessione, quella di don Albanesi, sulle tante e diverse dimensioni individuali di chi è costretto a confrontarsi con il limite, come accade quotidianamente nella sua Comunità. “L’incidente deve essere stato terribile, terrificante”, dice don Albanesi pensando a Fabiano Antoniani. “Deve essere stata una desolazione non tanto psicologica quanto fisica: nel suo messaggio ripete molte volte la parola ‘dolore’. Ci sono situazioni in cui, nonostante la medicina, il dolore non si riesce a gestire e, a quel punto, la vita viene percepita come una tortura che diventa insopportabile”.

“Una persona desidera morire quando non vede più prospettive. I momenti più terribili sono dettati da solitudine, dolore e paura. – sottolinea – Ci sono state situazioni in cui, dopo aver combattuto molto, la persona mi ha detto: ‘Lasciami andare’.  Lasciami andare perché la lotta per la vita è una specie di collina e, quando la collina  scende, ti accorgi che stai andando verso il basso, da un punto di vista fisico ma anche spirituale”.  “C’è chi nonostante tutto combatte per la vita, e anche se la morte arriva è come se non la sentisse, è come se la vitalità prevalesse a tal punto da non considerarla. C’è poi chi si rifiuta di combatterla, per la sua storia o perché i pesi che porta sono talmente forti che non riesce a reagire”.

Nei suoi anni alla guida della Comunità di Capodarco (ma anche nella sua esperienza di parroco) don Albanesi ha incontrato sofferenza ma anche tanta forza. “Nessuno mi ha chiesto espressamente di morire, – racconta – però ha espresso chiaramente la condizione in cui si trovava, se non riusciva ad affrontare altre cure o riabilitazioni. In quei momenti abbiamo accompagnato, stando vicino e soprattutto mettendo l’accento sulle cose più belle della vita. Perché in quei momenti non ci sono parole, c’è solo uno stare vicino”.

Altra cosa è parlare di normativa e leggi. “Il problema diventa molto più difficile nel momento in cui si parla di legislazione, di testamento biologico, delle cure eccessive, dell’accanimento terapeutico. Perché una legge è sempre esterna, generica, difficile da equilibrare. E poi è compito del Parlamento italiano scriverle. Da un punto di vista umano e anche cristiano, c’è da tener conto che ciascuno di noi desidera morire improvvisamente, perché la morte fa paura e in quel momento sei solo con la tua vita. Non hai persone che possono sostituirsi a te o darti indicazioni”.

Da redattoresociale


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