Lunedì 27 febbraio, a Catania, si apre il processo a carico di Mourad el Ghazzaoui, 21 anni, arrestato nel 2015. E’ accusato di essere un terrorista dell’Isis. Per i suoi amici è una vittima.
Forse per capire questa storia occorre partire da quanto ha scritto un grande intellettuale arabo, Samir Kassir, nel suo libro più celebre, “l’infelicità araba”, un libro fondamentale per capire i problemi irrisolti di quelle società. “L’infelicità araba, però, è anche lo sguardo degli altri. Quello sguardo che impedisce perfino la fuga e che, sospettoso o condiscendente che sia, ti rimanda alla tua condizione ineluttabile, ridicolizza la tua impotenza, condanna a priori la tua speranza. E, spesso, ti ferma alle frontiere. Bisogna aver avuto per una volta il passaporto di uno stato canaglia per sapere quanto può avere di definitivo uno sguardo del genere.” Le parole di Kassir ci portano dritti nel mondo di tanti sventurati, come Mourad el Ghazzaoui, un giovane siriano di Daraa, la città martire di Assad e dell’Isis.
Daraa è la città dove è cominciato tutto, e dove sei anni dopo nulla è finito, anzi… Nel 2011 i bambini di Daraa, di qualche anno più piccoli di lui, sono stati seviziati per aver scritto su un muro scolastico “il popolo vuole la caduta del regime”. Siamo nel profondo sud della Siria, molto lontano dai territori dove successivamente si sarebbe impiantato il terrorismo dell’ISIS. Siamo nella città dove i padri e le madri dei bambini di Daraa hanno detto di no agli aguzzini dei loro figli, innescando un processo di riscatto contro la barbarie.
Che giochi potevano fare in quella terra assediata, desolata, violata, dei ragazzi circondati solo dalla violenza? Che miti potevano avere? Forse i terroristi, simboli di un odio che non era più patito, ma inflitto. O forse qualche vicino di casa divenuto un “famoso” combattente, magari di quel Free Syrian Army che combatteva per loro con tanti sostegni dal mondo democratico. Questi combattenti, da noi meno conosciuti rispetto ai terroristi, esistono e hanno usato da subito un simbolo di cui poco si è parlato, ma molto interessante: la bandiere con tre stelle, cioè la bandiera della Siria indipendente e precedente la stagione dei golpe militari, che quelle stelle hanno ridotto da tre a due. Un riferimento alla storia della loro Repubblica quando era ancora tale.
Tanti di questi ragazzi, dal 2013, si sono rassegnati a fuggire dal loro Paese, scacciati, umiliati, ridotti a spettri. Alcuni di loro sono fuggiti come degli Enea del Terzo Millennio, degli Enea veri e propri, in carne ed ossa, con i loro vecchi genitori sulle spalle, un fagotto in mano, e basta. L’esodo siriano in questo nostro tempo, lo sappiamo, ha visto recentemente tanti di loro attraversare a nuoto non il Mar Rosso, ma l’Egeo, alla ricerca di una terra promessa che non esisteva. Negli anni precedenti questo esodo ne aveva portati tantissimi in Libano, oppure in Turchia. Molti si sono fermati lì, altri non si sono fermati e hanno proseguito il periplo di un mondo senza terre promesse fino a giungere in Libia, per infilarsi su un barcone usa e getta, per venire in Italia. E una volta sbarcati hanno assunto i connotati degli uomini tristi. La loro lingua qui da noi non è conosciuta, come loro non conoscono la lingua del nostro Paese, la loro storia è ignorata, come la nostra storia è a loro ignota. Ma i problemi più grandi derivano dal fatto che il loro passato, il loro presente e il buco nero dal quale sono fuggiti sono per noi uno spettro che ingenera paura, sgomento: “chi siete, perché venite, cosa avete dentro di voi?” Questa marea umana in molti poteva aprire le porte della pietà, della misericordia, ma il terrorismo globale dell’ISIS l’ha trasformata in paura: “siete vittime, o carnefici?”
A Mourad el Ghazzaoui, oggi 21enne, è capitato di essere fermato nel 2015 in Sicilia, aveva con sé tantissimi telefonini, alcuni si è scritto di nuova generazione, e questo non poteva che creare un legittimo sospetto. Le indagini hanno trovato elementi preoccupanti, che ne hanno determinato l’arresto: per terrorismo. Trasferito in un penitenziario di massima sicurezza, per un errore di trascrizione del suo vero nome sembra che non abbia ancora potuto incontrare i familiari: e ne è passato di tempo. Come tanti altri è fuggito nel 2013, quando l’Isis in Siria ancora non c’era. Viene da quella città, Daraa, che ancora combatte, anche contro l’Isis. Mourad aveva nel telefonino la fotografia di Abu Nader, ritenuto un miliziano oggi deceduto, uno dell’ISIS. Eppure al riguardo ha scritto Claudia Campese: “il presunto terrorista Abu Nader risulta essere vivo e racconta oggi a MeridioNews di aver lasciato la Siria a giugno 2015 e avere ottenuto pochi mesi dopo, a dicembre, lo status di rifugiato in Giordania, Paese poco tenero nei confronti degli uomini del Califfato nero.” Abu Nader dunque potrebbe essere legato proprio al Free Syrian Army, i cosiddetti “ribelli moderati”, nemici dichiarati tanto di Assad quanto dell’ISIS. La sua brigata, dicono gli amici di Mourad, si chiama “i martiri di Daraa”, come i bambini seviziati nel 2011, e sulla sua foto sarebbe impresso proprio uno stemma con quelle tre stelle, memento di una Repubblica che fu, di cui abbiamo accennato. Le cronache di guerra ci dicono invece che la brigata dell’ISIS che combatte contro Daraa e i suoi cittadini si chiama “i martiri di Yarmouk”.
Si è parlato molto anche di un messaggio. Qualcuno ha parlato di “prova”, visto che vi sarebbe scritto: “Dio è grande, ma l’Isis è più grande”. Inquieta, certamente, ma hanno osservato fondatamente a Radio Radicale, che sarebbe per l’ISIS un elemento da esecuzione immediata. Per l’ISIS più grande di Dio non può esserci niente, c’è solo la morte per chi pronunci una bestemmia così.
Altro elemento cruciale sarebbe un ancor più inquietante “lasciapassare dell’ISIS” che è stato trovato nel suo telefonino. Al riguardo però è stato evidenziato con sconcerto, sempre in un programma di Radio Radicale, che sarebbe una burla assai diffusa su internet, e il titolare di quel lasciapassare non sarebbe Mourad, ma un cantante curdo che vive in Svezia, come indicherebbe la stessa fotografia che compare sul “lasciapassare”.
Non sarò io a stabilire la verità, a dire se Murad sia una vittima o un carnefice. Ma già il fatto che appaia legittimo il dubbio, a un anno e passa dal suo arresto, dovrebbe inquietarci.