Il processo contro il fotoreporter egiziano Mahmoud Abu Zeid, meglio conosciuto come Shawkan, non si riesce proprio a fare. Dopo i rinvii decisi il 27 dicembre, il 17 gennaio e il 7 febbraio, sabato 25 febbraio è stato deciso che la nuova udienza si terrà il 21 marzo. Shawkah, 29 anni, è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre stava scattando fotografie, per conto dell’agenzia londinese Demotix, in uno dei giorni più bui della storia recente dell’Egitto.
Quel giorno, le forze di sicurezza dispersero con estrema violenza il sit-in della Fratellanza musulmana in piazza Rabaa al-Adaweya, uccidendo oltre 600 persone.
Shawkan, in carcere ormai da oltre 1300 giorni e del quale hanno chiesto la liberazione anche i genitori di Giulio Regeni, rischia una condanna all’ergastolo per questo lungo elenco di pretestuose accuse: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “tentato omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “ostacolo ai servizi pubblici”, “tentativo di rovesciare il governo attraverso l’uso della forza e della violenza, l’esibizione della forza e la minaccia della violenza”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “ostacolo all’applicazione della legge” e “disturbo alla quiete pubblica”.
Il suo unico “reato” è aver fotografato il primo sanguinoso atto di repressione dopo il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi. Di rinvio in rinvio, la detenzione preventiva di Shawkan ha ampiamente superato i tre anni, quasi raddoppiando il massimo di 24 mesi consentito dalla legge egiziana. Le sue condizioni fisiche non sono buone e nelle fotografie scattate nel corso delle ultime udienze è apparso emaciato e affaticato. In carcere ha contratto l’epatite C. Al termine dell’udienza del 7 febbraio si era sperato che una visita medica disposta dal tribunale potesse consentire la carcerazione per motivi di salute. Come non detto.