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ALDO MORRONE: mutilazioni, 3 milioni di bambine a rischio

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Alcune delle nostre mediatrici sono state bambine infibulate: sono loro le più capaci di cambiare le regole, di cancellare superstizioni, di usare parole appropriate. Le leggi da sole non bastano. Si devono persuadere uomini e donne che il piacere sessuale femminile è connesso alla nostra natura. Ci vuole tempo, investimenti e la voglia di non arrendersi.

Sono tuttora 3 milioni all’anno le bambine a rischio di mutilazioni femminili, prima fra tutte il taglio della clitoride. Per dar forza a questa battaglia di civiltà l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la giornata del 6 febbraio Giornata mondiale contro questa pratica. Aldo Morrone, medico che da oltre trent’anni con il suo gruppo dell’Ospedale San Gallicano, è appena tornato dall’Etiopia dove ha visitato i tre ospedali da loro allestiti per aiutare queste popolazioni perennemente in crisi a badare alla loro salute, ma anche per aiutare noi italiani che ce li troviamo a casa quando vengono a vivere da noi. Le mutilazioni femminili non sono tutte uguali anche se il significato è lo stesso: l’escissione della clitoride, infatti, può essere parziale o totale, accompagnata o meno dalla cucitura delle grandi labbra, fatta per lo più alle bambine oppure, più raramente, alle ragazze prima dell’ingresso nella adolescenza. Il dottor Morrone, celebre per la sua difesa del diritto alla salute dei migranti, ha appena scritto un libro, “La speranza ferita: storia delle mutilazioni genitali femminili” in cui racconta, non solo lo stato delle cose, ma anche come tutto è cominciato a dimostrazione che sradicare certe abitudini, pur se provato che sono dolorose e nocive, è una operazione culturale più che medica.

 

Quando è cominciata questa pratica?

È molto antica. Abbiamo documenti attendibili scritti in latino dal famoso Galeno di Pergamo, medico di corte sotto l’imperatore Marco Aurelio e i suoi successori, nonché da Paolo di Egina detto l’Ostetrico, attivo in Alessandria d’Egitto nel settimo secolo, all’arrivo dell’islamismo: dai loro testi risulterebbe esser cominciata nel terzo quarto secolo prima di Cristo, presso alcune tribù africane. Chiariamo subito: non è una pratica dettata dal Corano, non dipende dalla religione, Maometto non c’entra niente. L’Egitto, a lungo sotto il dominio imperiale romano, era una dei paesi dove veniva abitualmente messa in atto. Ma la ritroviamo anche in Eritrea, Somalia, ovviamente Etiopia, in qualche caso nel Sudan, nel Camerun e perfino in alcuni luoghi dell’ Oriente come l’Indonesia.

Come si è diffusa?

Ci sono due teorie: una sostiene che è partita dall’Africa e poi è arrivata nel lontano Oriente, un’altra che è una pratica che indipendentemente è stata messa in atto da alcune popolazioni orientali. L’origine è sempre la stessa: con l’escissione del clitoride privare la donna del piacere sessuale e con la cucitura delle grandi labbra garantire al marito la certezza della sua verginità e, quindi, garantirgli che i figli nati da quella donna sono suoi. Del resto, per la stessa ragione, anche nel nostro Occidente la verginità femminile, che solo da pochissimo non è più un obbligo, veniva preservata con ogni cura: il marito, la prima notte di nozze, la constatava grazie a qualche goccia di sangue sul lenzuolo. Nel sud di Italia, addirittura, questo lenzuolo veniva esposto alla finestra.

Era umiliante ma non danneggiava la salute delle giovani donne.

Vero. Le mutilazioni femminili, che vengono praticate solitamente alle bambine, non sono soltanto dolorose e offensive ma procurano infezioni, danni permanenti, enuresi continua e al momento del parto lacerazioni, problemi al neonato, a volte la morte della madre. Noi occidentali abbiamo ricominciato a occuparcene dopo il 1500, all’inizio delle grandi esplorazioni, quando l’abbiamo riscoperta in Africa, alimentando dibattiti accaniti sul fenomeno, senza, però, fare alcunché per proibirlo. Anzi, nell’ottocento, quando la sessuofobia raggiunse da noi il suo acme, ai tempi del regno della regina Vittoria, alcuni medici occidentali cominciarono a praticarla per combattere forme di follia femminile. Non è un caso che l’isteria prende il suo nome da utero, questo organo femminile mobile e misterioso che i maschi guardavano con sospetto perché origine della vita. È solo dopo la seconda guerra mondiale che la Organizzazione Mondiale della Sanità comincia a ragionare su questa pratica fino a decidere, quattordici anni fa, di istituire una giornata speciale per lanciare l’allarme in tutto il mondo.

Ma è ancora molto diffusa?

Ci sono 200 milioni di donne infibulate oggi e 3 milioni di bambine, ogni anno, sono a rischio. Nei centri urbani dell’Etiopia il fenomeno si è ridotto, ma nei piccoli villaggi dispersi dell’Africa no: una ragazza infibulata vale di più sul mercato dei matrimoni e le vecchie donne che praticano l’intervento esercitano forti pressioni sulle madri perché sottopongano le figlie a questo intervento. Noi stiamo cercando di sostituirla istituendo la festa del menarca, un modo innocuo e lieto per rendere pubblico l’ingresso della ragazza nel mondo adulto, ma è un lavoro di contrasto che va fatto insieme alle comunità locali. In Egitto, poco tempo fa, si era pensato di fare il taglio del clitoride in ospedale perché fossero almeno garantite le condizioni igieniche, ma la corruzione e le speculazioni hanno fatto fallire questo tentativo che comunque non sarebbe mai stato la risposta corretta.

Anche da noi in Italia viene praticata l’infibulazione?

Qualche volta e in segreto. L’Italia la vieta con una legge esplicita del 9 giugno del 2006 così come vieta i matrimoni precoci banditi da tutti gli organismi internazionali che hanno fissato l’età minima per le nozze a 16 anni. Inutile dire che si continuano a celebrare, specie in India, matrimoni precoci.

La soluzione migliore perciò quale è?

Creare dei gruppi misti fatti da ostetriche, ginecologi, infermieri, medici e soprattutto mediatrici culturali donne che possano parlare con i propri connazionali. Noi ce l’abbiamo all’ospedale San Gallicano di Roma. Alcune delle nostre mediatrici sono state bambine infibulate: sono loro le più capaci di cambiare le regole, di cancellare superstizioni, di usare parole appropriate. Le leggi da sole non bastano. Si devono persuadere uomini e donne che il piacere sessuale femminile è connesso alla nostra natura. Ci vuole tempo, investimenti e la voglia di non arrendersi.

Da cheliberta


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