Il bavaglio turco non si allenta e le autorità governative continuano a usare il tintinnio delle manette per zittire le voci libere. E il grimaldello della giustizia si abbatte anche sui corrispondenti esteri degli organi di informazione internazionali in Turchia.
Questa volta a finire in carcere un collega tedesco, inviato del quotidiano Die Welt, Deniz Yucel.
Daniel è stato arrestato martedì scorso, a renderlo noto la redazione del giornale aggiungendo che la sua abitazione è sono perquisita e sono stati sequestrati documenti e fotografie.
Il giornalista col doppio passaporto turco e tedesco è stato fermato dalla polizia, alla quale Yucel si era presentato spontaneamente. in relazione ai suoi articoli sul pirataggio della e-mail di Berat Albayrak, ministro dell’Energia e genero del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.
“Le autorità accusano Yücel di essere membro di un’organizzazione terroristica, di uso improprio di dati e di propaganda terroristica”, si legge sul sito di Die Welt, ricordando che dalla fine di dicembre altri sei giornalisti di nazionalità turca sono stati arrestati nell’ambito della stessa inchiesta, tre dei quali sono ancora in carcere e e rischiano fino a 10 anni di reclusione.
Nonostante la continua repressione nei confronti dei media il governo di Ankara continua a ribadire di ‘rispettare lo stato di diritto’ e attraverso un portavoce fa sapere che se Yucel non ha nulla da nascondere “le verifiche proveranno la sua innocenza”. E noi con lui.
Chi, invece, è certo che il corrispondente di Die Welt riuscirà a dimostrare di aver solo raccontato e di non avere nessuna responsabilità nell’operazione di hackeraggio è il caporedattore del giornale, Ulf Poschardt.
Deniz Yücel, come tanti altri operatori di media internazionali, aveva scritto a proposito delle e-mail che il collettivo turco di hacker RedHack aveva trafugato dall’account privato di posta elettronica del ministro.
Secondo quanto riporta Die Welt, alcune delle e-mail, visibili da dicembre su Wikileaks, riguardavano il controllo sui gruppi editoriali turchi e l’influenza sull’opinione pubblica tramite il ricorso a utenti fake su Twitter.
Dal colpo di stato del 15 luglio in Turchia, oltre 120 giornalisti sono finiti in carcere senza processo, 170 organi di stampa sono stati chiusi e 775 tessere giornalistiche annullate.
Alcuni colleghi stranieri come Rob Nordland del New York Times, Dion Nissenbaum del Wall Street Journal e Olivier Bertrand di Les Jours sono stati prima fermati e poi espulsi.
Per questo, ancora una volta, Articolo 21 rinnova il sostegno alla stampa turca, ribadendo no al #baglioturco, e a tutti i colleghi che in Turchia lavorano e provano a raccontare, senza censure, la deriva autoritaria di Erdogan che si appresta a consolidare il suo potere con il referendum del 16 aprile che dovrebbe confermare la riforma costituzionale, approvata a maggioranza (non qualificata) in Parlamento, che prevede il passaggio da sistema parlamentare a presidenziale.