Il 7 e l’8 febbraio si è tenuto in Vaticano un summit sul traffico internazionale di organi, indetto dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Monsignor Sorondo, cancelliere dell’Accademia, in apertura ha sottolineato che «il traffico di organi e il “turismo dei trapianti” sono un crimine contro l’umanità». Alla due giorni in Vaticano hanno partecipato rappresentanti di quasi tutti i Paesi del mondo, concordi sul fatto che intorno all’argomento ci sia ancora «molto silenzio». Troppo.
L’espianto e il reimpianto di un organo non sono pratiche che si possono fare in autonomia o comunque non senza le necessarie conoscenze tecniche e mediche. Dietro, intorno e a fianco al “donatore” e al ricevente non ci può mai essere solo il trafficante. È una rete, una ragnatela nera che imprigiona e condanna i disperati mentre al tempo stesso sembra fruttare infiniti guadagni a chi la tesse e la cela.
Alessandro Nanni Costa, presidente del Centro nazionale trapianti italiano, afferma che il primo ostacolo da affrontare è riuscire a «quantificare il traffico illegale di organi» in modo tale da poter poi «prevedere delle politiche di contrasto condivise a livello internazionale».
Ha destato molto scalpore la presenza della Cina al summit, una nazione che dal 1984 consente la rimozione degli organi da condannati a morte e giustiziati. Monsignor Sorondo ha voluto interpretare la presenza di questo Paese come la «dimostrazione, da parte dell’attuale governo, di voler cambiare rotta e seguire la dignità umana». Ma per Dafoh (Doctors against forced organ harvesting – Medici contro il prelievo forzato di organi) il Summit on organ trafficking and transplant tourism «non dovrebbe avere luogo senza l’assicurazione che il governo cinese abbia messo fine al suo programma di prelievo di organi». E invita i partecipanti alla due giorni in Vaticano a chiedere a Huang Jiefu, presidente del Comitato nazionale cinese sulla donazione e il trapianto di organi, e al governo cinese di «verificare che qualsiasi prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza, incluso i membri del Falun Gong (movimento spirituale dichiarato fuorilegge nel 1999, ndr) e qualsiasi altro gruppo prigioniero, sia finito e non riprenderà».
Nella dichiarazione firmata da tutti i convegnisti si invitano i leader religiosi a «incoraggiare le donazioni etiche di organi e condannare la tratta di esseri umani che ha l’obiettivo della rimozione e del traffico di organi» e i governi di tutti i Paesi a «riconoscere come crimine il traffico di organi, compreso l’uso di organi da prigionieri morti per esecuzione capitale». Viene chiesto all’Organizzazione Mondiale della Sanità, al Consiglio d’Europa, alle agenzie delle Nazioni Unite e a tutti gli organismi internazionali di «cooperare per raccogliere informazioni sul traffico di organi e sulle reti criminali che lo sostengono» e riconosciuto il ruolo dei mass media nella scoperta e nella diffusione di scandali e atti criminali in materia di traffico di organi, come pure si riconoscono i passi avanti fatti nel mondo dopo la firma della dichiarazione di Istanbul, sottoscritta dai partecipanti al Summit Internazionale sul Turismo del Trapianto e sul Traffico di Organi tenutosi in Turchia dal 30 aprile al 2 maggio 2008.
Con la legge 236/2016, entrata in vigore il 7 gennaio 2017, viene inserito nel Codice Penale italiano l’articolo 610-bis “Traffico di organi prelevati da persona vivente”, nuovo reato punito con reclusione multa e interdizione dall’esercizio della professione qualora l’imputato sia un medico. Il reato riguarda anche chi organizza o propaganda viaggi finalizzati al traffico di organi e/o pubblicizza annunci con qualsiasi mezzo. Il presupposto è naturalmente che gli organi siano trattati illecitamente, ma la disposizione può trovare applicazione anche in caso di violazione della disciplina del trapianto di organi e tessuti prelevati da vivente attualmente in vigore. L’entità delle pene consente l’applicazione della legge italiana anche quando i fatti siano commessi all’estero. Il reato è stato inserito nel Codice Penale tra i delitti contro la personalità individuale, subito dopo le fattispecie di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e la tratta di persone. Sono dei reati gravi che evocano immagini forti, fotogrammi di un mondo che preferiamo pensare non esista più. Invece la situazione reale è molto più grave di come viene descritta perché la responsabilità di quanto accade non è solo di chi si sporca le mani ma anche di chi pur avendo la coscienza sporca preferisce pensare di non avere nulla a che a fare con tutto ciò.
Pietro Bartolo, il medico lampedusano che da oltre venticinque anni accoglie, cura e ascolta i migranti che approdano lungo le coste dell’isola, nel libro Lacrime di sale (Mondadori, 2016), scritto a quattro mani con la giornalista Lidia Tilotta, racconta la sua esperienza e afferma di aver visto molte volte quelle inconfondibili cicatrici sui corpi soprattutto dei giovani. Quasi tutti negano. Ovvio. È la paura che li frena nel parlare. La stessa paura che viene incanalata e diffusa negli europei e li spinge a credere che in realtà queste persone non sono né povere né bisognose, ma hanno tanti soldi e mille pretese. Così il fatto che molti di loro, per procurarsi i soldi del viaggio, vendono un rene o sono costretti a prostituirsi viene dimenticato o ignorato. Bartolo sottolinea il fatto che l’espianto e il reimpianto di un organo che deve continuare a funzionare non possono essere fatti ovunque e da chiunque. Ecco allora che si riaffaccia la “ragnatela nera”. Basta soffermarsi a riflettere.
Atta Wehabrebi, il trafficante divenuto collaboratore di giustizia, ha svelato i retroscena del sistema “a cellule” in base al quale a chi ha la possibilità di pagare in contanti viene garantito l’approdo lungo le coste italiane, documenti per identità false, trasporto per spostamenti verso il Nord Europa. Chi non può pagare invece viene “affidato” al gruppo egiziano dell’organizzazione. Migranti uccisi e depauperati dei propri organi. Il collaboratore ha parlato di gruppi minori operanti in Egitto e Tunisia «non comparabili con gli altri per numero di viaggi e guadagni». Organizzazioni che «non sono in conflitto tra loro anzi collaborano». Delinquenti, certo. A cui però viene resa vita facile da chi dovrebbe ostacolarli e invece latita.
Ancora Bartolo in Lacrime di sale dice che non ci vuole molto a passare «dal traffico di esseri umani a quello di organi umani. Reso ancor più semplice dall’aver trasformato le persone in numeri senza identità e per questo, quindi, facili da eliminare senza lasciare tracce». Uomini avidi, spietati, che credono solo nel denaro e nel potere, «e non sto parlando di chi organizza la tratta degli esseri umani. Parlo di chi la consente, di chi vuole tenere il resto del mondo nella povertà, di chi alimenta i conflitti, li sostiene, li finanzia». E l’Occidente guarda annoiato, quasi infastidito, chi vende un rene per scappare dal proprio Paese, per pagare il biglietto di un viaggio troppo costoso, fingendo di non sapere che ogni giorno «piccoli innocenti vengono utilizzati come macchine che forniscono preziosi pezzi di ricambio».
Secondo stime della Global Financial Integrity, la fondazione statunitense considerata uno dei migliori centri di analisi dei flussi finanziari illeciti, il 10% dei 118mila trapianti annui praticati in tutto il mondo è illegale. Mediamente si parla di 12mila trapianti che fruttano al mercato nero e alle organizzazioni criminali internazionali fino a 1,4miliardi di dollari. Un Report dell’Unhcr e dell’International Organization for Migration condotto a Khartoum, capitale del Sudan, parla di almeno 66 casi accertati di rapimento nei soli primi sei mesi del 2015 posti in essere da «gruppi criminali ben organizzati e con ramificazioni internazionali». Rapimenti per cui viene chiesto un riscatto di «14mila dollari per chi ha la famiglia a Khartoum, 30mila per chi ha i parenti in Europa». Chi paga ha salva la vita, chi non paga «finisce nelle mani di aguzzini e diventa merce di scambio sul mercato illegale degli organi».
Alessandro Nanni Costa ha dichiarato che in Italia viene fatto «un attento controllo sulle liste di attesa dei trapianti e verifichiamo se qualcuno scompare all’improvviso». Ma pur ammettendo come valide le misure precauzionali poste in essere dal Centro, l’Italia non è “tutto il resto del mondo”.
Don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo che da anni è attiva sul territorio per fronteggiare il traffico di uomini, ha raccontato che «nel deserto del Sinai sono stati ritrovati centinaia di corpi ai quali mancavano organi vitali come reni, fegato e cuore». Si calcola che negli ultimi anni sono passati attraverso il Sinai circa 60mila profughi, la gran parte provenienti da Eritrea, Etiopia e Sudan. «I rapimenti erano all’ordine del giorno. Poteva capitare che durante uno stesso periodo venissero sequestrate anche 1500 persone. E ancora oggi ci sono fosse comuni sparse per tutte il deserto».
Nanni Costa ribadisce che «i compratori vengono da paesi ricchi e sono spesso arabi, turchi, israeliani, perfino statunitensi. Da noi, come detto, ci sono maglie strette dalle quali è difficile passare».
Nella relazione conclusiva del Summit in Vaticano si legge che il traffico di organi e il turismo dei trapianti è «molto vasto e diffuso in Asia, Messico, America Latina, Egitto, Pakistan, India». Ma si legge anche che «i ricettori sono i malati da Canada, Usa, Europa Occidentale, Paesi del Golfo, Australia», i quali «si trasferiscono temporaneamente in quei Paesi per ricevere l’organo di cui hanno bisogno».
Il traffico illegale di organi e il turismo dei trapianti sono un business che frutta milioni di dollari ma anche una nuova forma di schiavitù ai danni di migranti rifugiati disperati… in un mondo che sembra non dover mai smettere di essere una bilancia, nel quale la differenza tra il piatto in alto e quello in basso alla fine la fanno sempre denaro e potere.