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Di Maio, censura e congiuntivi

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L’aereo da Roma a Torino è appena decollato e la voce cordiale dell’assistente di volo mi autorizza a usare il computer, quindi 45 minuti li ho tutti, a voi ne porterò via molti di meno, tranquilli. Vorrei dedicare un minuto al grande Gigi Di Maio, imperatore in pectore dei grilletti, l’uomo che salta da una parte all’altra del ridicolo con la grazia di Fosbury cadendo, anche lui, sempre seduto. Però ultimamente mi sembra abbia esagerato. Abbiamo già capito che dietro alla maggior parte dei grilletti, capocomico compreso, dorme agitato un Ducetto pronto a balzare fuori armato dei soliti attrezzi: olio di ricino e manganello alle brutte, ottusità e obbedienza se tutto va bene. Di Maio mi è simpatico da quando Vincenzo De Luca ne tratteggiò figura e opere scorrendo il suo curriculum vitae. Il video su YouTube diventò virale, lo consiglio. Da quel momento l’ho sentito “uno di noi”, uno che non sa nulla e interviene su tutto potrebbe tentare la via del giornalismo, se solo lo volesse. Il guaio e che lui “lo volesse”, così scopro che è iscritto al nostro Ordine professionale all’elenco pubblicisti, non paga da due anni la quota, ma si sa i grilletti, anche quando parlamentari, danno tutto al movimento restando poveri in canna. Che bella sorpresa, un po’ me lo aspettavo lo confesso, ma come potevo sapere fosse in grado, con gramigna intellettuale, di stilare una lista di proscrizione dei giornalisti cattivi, o nemici, del suo movimento? Gente colpevole –  a suo dire – di inventare, ricamare e travisare notizie su Santa Raggi da Campidoglio e tutto il caravanserraglio che gira attorno a quelle due orecchie separate senza uno scopo evidente.

Ci vuole una bella sicurezza professionale e umana, tornando al “Dima”, per gettarsi in questa impresa impresentabile. Benito Mussolini, giornalista prima che tutto il resto, preferiva sfidare a duello i colleghi dei quali non condivideva i pareri anziché farne elenchi. Forse temeva l’effetto Cahiers de doléances, che secondo tal Luigi Capeto avrebbero dovuto far sfogare i francesi di fine ‘700 di tante angustie patite e finirono col rappresentare il punto di partenza della rivoluzione francese. Cose da perderci la testa. Poi però va detto che, parlando del “de cuius” nostrano, durante il ventennio, le liste il duce le fece eccome, imbavagliò la stampa e sommerse le redazioni di fedelissimi. Tanti giornalisti persero il lavoro e dovettero riparare all’estero, qualcuno anche morirci per le bastonate ricevute. Ma torniamo a Di Maio il grande. La sua lista dei cattivi “faccetta furba” l’ha scritta sulla lavagna di Facebook che per i grilletti deve essere più o meno come Sai Baba per i frichettoni degli anni settanta. Ma lui, credo, abbia colpe solo a metà. Forse glielo aveva chiesto il Maestro, quello che una volta faceva sorridere e adesso sembra il ministro della paura del Paese. In quella “operazione scrittura” il capomastro si sarà premurato che Dima avesse l’attrezzatura giusta con sé? Gessetto che non stride, un eventuale cancellino e rudimenti di grammatica?
Perché se in quattro tentativi su Twitter non si riesce comunque a ingranare un congiuntivo, allora quello sporco lavoro di compilare liste meglio farlo fare a un altro. Mi diverte sapere che c’è ancora qualcuno che, con una lista di giornalisti cattivi, sogna di non passar per fesso. Ma possiamo tollerare che la lista dei colleghi cattivi sia scolpita da una mano nemica giurata della grammatica? Concludendo, visto che Torino è già sotto di noi e stiamo per atterrare, è giusto fare quello che hanno fatto il presidente dell’Ordine della Campania Ottavio Lucarelli e il segretario del Sindacato Unitario dei Giornalisti Campani Claudio Silvestri ma non credo basti. Di Maio deve essere curato. Non perché ci serva preservarlo per farne qualcosa, come diceva De Luca ha interrotto una carriera folgorante in edilizia per darsi alla politica, quali altri sacrifici possono essergli richiesti? Deve essere però assistito in quanto dietro alle forme di “congiuntivite” resistenti ai vocabolari, come la sua, possono nascondersi malattie ben più impegnative come l’uveite. Quella malattia dell’occhio che costringeva Berlusconi a grandi occhiali scuri (non servivano a quello che pensavate tutti: poter occhieggiare indisturbato le anatomie femminili). Credo che anche la  Casagit, la cassa sanitaria dei giornalisti italiani, debba occuparsi del caso Di Maio. Bisogna offrire al nostro piccolo Saint-Exupéry una consulenza gratuita (pagare le cure nemmeno a parlarne) per aiutarlo a trovare la terapia migliore… o il congiuntivo che nella frase c’azzecchi. Da qui questo mio piccolo contributo, questa disponibilità. Proseguirei volentieri con riferimenti specialistici precisi ma purtroppo devo smettere di scrivere: stiamo atterrando.

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