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I social media in Kazakhstan, tra arresti condanne e autocensura

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“Pensaci bene prima di pubblicare” è il titolo di un rapporto sulla repressione della libertà d’espressione online in Kazakhstan, pubblicato da Amnesty International il 9 febbraio. Negli ultimi due anni, si legge nel rapporto, leggi e di provvedimenti amministrativi hanno portato alla chiusura di siti indipendenti e all’arresto di utenti dei social media che avevano pubblicato post critici nei confronti del governo.

Dal gennaio 2016 tutti gli utenti di Internet sono obbligati a installare un “certificato di sicurezza nazionale” che consente alle autorità di monitorare le comunicazioni effettuate attraverso protocolli https e di bloccare determinati siti. La legge è risultata estremamente efficace in occasione delle manifestazioni contro il governo organizzate il 21 maggio. Quel giorno, nella capitale Almaty, le autorità hanno arrestato tra 300 e 500 persone. Improvvisamente, la maggior parte degli utenti di Facebook si sono visti impedire l’accesso; Google, YouTube e Periscope sono stati bloccati.

Due attivisti che erano riusciti a pubblicare notizie e immagini sulle manifestazioni,  Maks Bokaev e Talgat Ayan, sono stati condannati il 28 novembre a cinque anni di carcere per “incitamento alla discordia”. Il numero delle persone arrestate e processate potrebbe essere considerato piccolo. Ma molti attivisti e difensori dei diritti umani hanno spiegato ad Amnesty International quale sarà la conseguenza delle misure repressive adottate falle autorità kazake: l’autocensura.


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