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Milena Gabanelli. Un bersaglio o un “bene comune” che la Rai deve valorizzare?

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La polemica sulle modalità di assunzione di Milena Gabanelli in Rai suscita molte perplessità e alcune certezze. Perplessità sicuramente per il clamore su un passaggio che la RAI avrebbe dovuto fare molto prima, garantendo all’Azienda una così alta professionalità del giornalismo investigativo che lavora per il Servizio Pubblico praticamente a tempo pieno da oltre 30 anni; certezze sul vero obiettivo di quello che si profila come un tiro al bersaglio contro una figura scomoda dentro e fuori il Servizio Pubblico, ma non solo contro di lei.

Milena Gabanelli ha iniziato a lavorare per la RAI nel 1982, con vari programmi di attualità, approdando nel 1989 a Mixer con Giovanni Minoli, allora direttore di RAI3. Inviata all’estero a seguire i conflitti più difficili, dalla ex Jugoslavia alla Cambogia, al Sudafrica, al Nagorno Karabakh, proprio in quest’ultimo territorio tra l’altro si è conquistata l’iscrizione, evidentemente a vita, nella lista di proscrizione del governo azero, che concepisce sul proprio suolo solo giornalisti “embedded” che non raccontino la realtà da entrambe le parti di un conflitto.

Autrice dal 1994, sempre in RAI, di Professione Reporter, uno spazio ancora su RAI3 che introduceva in Italia il videogiornalismo, dal 1997 ha rappresentato con il suo programma Report la massima capacità di fuoco del giornalismo investigativo del Servizio Pubblico, conquistando, oltre che querele e richieste di danni per oltre 250 milioni di euro (finora tutte vinte da Report, eccetto una da 25mila euro), anche e soprattutto la stima di milioni di telespettatori, oltre un milione e 200mila iscritti al profilo Facebook del programma e 1 milione e 100mila follower su twitter. Tra loro tantissimi dichiarano apertamente di pagare il canone RAI solo per lei e la sua squadra. Si, perché Milena Gabanelli in questi oltre 30 anni in RAI e i venti di Report, ha formato varie generazioni di videogiornalisti d’inchiesta, dando vita, entro i margini e le modalità contrattuali concesse dall’Azienda, a una vera e propria squadra che ora affianca Sigfrido Ranucci, suo coautore per dieci anni e ora responsabile di Report, nella preparazione delle prossime stagioni, insieme a una redazione specializzata che non ha niente da invidiare ai grandi network internazionali.

Potremmo dire che Milena Gabanelli è un “bene comune” per un paese che è collocato ai gradini più bassi in tutti gli indici mondiali in tema di informazione ma anche di trasparenza. Vogliamo ricordare quando, dopo la richiesta risarcitoria di oltre 25 milioni di euro dall’ENI, la raccolta firme lanciata proprio da Articolo 21 su Change ha incassato in pochi giorni oltre 130mila firme, portando poi alla sua candidatura alla presidenza della Repubblica. Candidatura che Gabanelli ha cortesemente rifiutato perché “non è il mio mestiere”.

Certo, Gabanelli e i suoi giornalisti si sono guadagnati anche molti nemici fuori la RAI, tutti quelli, grandi gruppi, banche, lobby, mafie, potentati che a vario genere sono stati raccontati in tutte le loro pieghe al pubblico, rendendolo consapevole di quanto avveniva intorno. Nemici che, non avendo avuto successo nei tribunali, non vorremmo che ora incassassero sotto altra forma, con un suo allontanamento dalla RAI e, magari, con un ridimensionamento delle inchieste investigative da lei avviate. E forse sottrarre al suo occhio vigile la realizzazione della piattaforma informativa digitale RAI.

Infine, è avvilente che l’intero gruppo dirigente di viale Mazzini anche in questa occasione sia riuscito a trasformare una vicenda di crescita del patrimonio RAI presente e futuro – e che ancora una volta riguarda una professionista donna – nell’ennesimo capitolo di un scontro interno che nulla ha a che vedere col prodotto e ha come evidente effetto solo di piegare ulteriormente l’Azienda.

Allora ci auguriamo che la RAI chiarisca e completi l’iter della procedura di assunzione di Milena e colga anche l’occasione per avviare sul serio quel nucleo di giornalismo investigativo che la stessa UsigRai richiede da diversi anni, che auspicano molti dentro e fuori l’Azienda (ultima in ordine di tempo a parlarne Luciana Alpi, mamma di Ilaria) e che rilancerebbe il significato del Servizio Pubblico, alla vigilia del rinnovo della Convenzione Stato-RAI, magari inglobando nel progetto proprio questo “bene comune” che è Milena. Non vorremmo che, al centro del bersaglio in cui è stata piazzata la Gabanelli, non ci sia invece proprio il futuro delle inchieste made in Rai e l’indipendenza della sua informazione.


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