Poliziotti in assetto da guerra che hanno abusato del loro potere: decine di donne e uomini feriti, ricoverati in ospedale con fratture varie… E poi le tante umiliazioni. Lo ha raccontato fedelmente il regista Daniele Vicari in “Diaz“. A lui abbiamo chiesto di commentare la sentenza della Cassazione.
Daniele, un commento a caldo sulla sentenza della Cassazione. E’ soddisfatto?
Sicuramente si è fatto un passo avanti ma io faccio fatica ad esultare perchè tutta questa vicenda è una tragedia, sia per le persone che sono state travolte sia per coloro che ora dovranno rattoppare il buco.
A chi si riferisce?
Alle istituzioni. E non so come faranno, perchè dieci anni di sottovalutazioni della gravità di questi fatti credo abbiano peggiorato la situazione. E nel frattempo gli uomini che sono stati giudicati responsabili, ricoprono dei ruoli cruciali nelle istituzioni.
Che pagina è stata la Diaz?
La Diaz e Bolzaneto insieme ad altri fatti di Genova di quella terribile estate sono una delle pagine oscure della nostra storia democratica. Oscure non perchè non si sia mai capito cosa fosse successo – era chiaro a tutti probabilmente fin dall’inizio – ma perché sotto lo sguardo delle telecamere, dei cineasti, dei videomaker, dei giornalisti… si è consumata una sospensione tale dei diritti civili da segnare inesorabilmente il nostro Paese.
Quando ha deciso di realizzare il suo film partendo dalle carte processuali qual è l’aspetto principale della vicenda che voleva far emergere?
Il modo in cui le persone sono state umiliate, massacrate e ridotte all’impotenza. Centinaia di poliziotti che hanno lasciato segni permanenti nel corpo e nell’anima di tante donne e uomini; beh tutto questo ci racconta una democrazia malamente digerita, immatura, e ciò è aggravato dal fatto che gli autori delle violenze sono persone in divisa.
Il film è stato molto visto e apprezzato in Italia e all’estero. Cosa ha letto negli occhi degli spettatori all’uscita del cinema?
Incredulità. Certo le scene più crude dei colpi inferti creavano sgomento ma ciò che prevaleva era il non poter credere che tutto ciò fosse realmente accaduto.
“Diaz” ha ricevuto anche alcune critiche. Le hanno contestato di aver omesso le trame del potere.
Il mio intento era raccontare ciò che era successo attanenendomi a ciò che era riportato nelle carte processuali. Spetta ad altri approfondire le trame politiche. Ciò non significa che non si possano raccontare e denunciare vicende anche in maniera radicale.
E magari smuovere alcune coscienze.
E’ quello che spero di aver fatto. Ecco perchè sarebbe importante che, al di là di inutili euforie, si partisse da questa sentenza per una battaglia fondamentale sui diritti civili, in Italia e in Europa, che però sembra di scarso interesse.
A chi non interessano? Istituzioni? Partiti politici? Movimenti?
Vale un pò per tutti. Poliziotti, giornalisti, registi, anche per gli attivisti politici che spesso considerano quella per i diritti civili una battaglia secondaria o ideologicamente meno cruciale. Questa storia dovrebbe insegnare qualcosa a tutti e cioè che l’agibilità democratica in un paese è fondamentale.
A proposito dei giornalisti, qual è stato a suo avviso il ruolo dell’informazione in tutta la vicenda?
L’informazione è una delle tante vittime. Abbiamo assistito a continue manipolazioni. I giornalisti erano presenti alle conferenze stampa successive al massacro e si sono resi conto praticamente tutti che c’era qualcosa che non andava. Ma la maggior parte dei mezzi di informazione, non tutti per fortuna, hanno lasciato cadere la tragedia della Diaz. L’osso invece andava azzannato… E se un’informazione non si insinua, non scava nel profondo rischia di venir meno alla sua funzione principale. Fortuna che alcuni giornalisti non hanno mollato…
Cosa fare per evitare che ci sia una seconda Diaz?
Avere il coraggio della denuncia, accrescere la coscienza civile. E magari introdurre nel codice penale il reato di tortura. Siamo il paese di Cesare Beccaria ma ce lo siamo dimenticati.