C’è un settore dell’economia italiana dove la crisi non sembra arrivare e che, al contrario, è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni. Non si tratta di un settore come tutti gli altri ma della produzione e della vendita degli armamenti. Secondo la relazione annuale del governo sull’export militare del 2015, presentato la scorsa primavera, c’è stato un aumento del 220 per cento delle autorizzazioni alle esportazioni di armi rispetto al 2014 il volume di affari ha raggiunto i 7,9 miliardi di euro a fronte dei 2,6 miliardi dell’anno precedente. Il trend continua a crescere.
Un recente rapporto dell’ISTAT segnala tra giugno e settembre 2016 un forte aumento dell’export di armi e munizioni dalla Sardegna verso l’Arabia Saudita per un totale di 20,6 milioni di euro.
Nel nostro Paese non soltanto cresce il volume di affari ma migliora anche la nostra posizione nel ranking globale. Oggi l’Italia con il suo traffico contribuisce di fatto all’aggravarsi della guerra in Yemen, un conflitto che ha provocato già oltre seimila vittime e che ha affamato gran parte del Paese.
Ole Solvag, ricercatore di Human Rights Watch, ha fotografato uno specifico modello di bomba, la MK83 in Yemen con il marchio di RWM Italia. Questo dato emerge da un’importante inchiesta Reported.ly tradotta in Italia dal Washington Post. I giornalisti hanno provato a ricostruire tutti i passaggi che l’Italia, la Germania l’Arabia Saudita e lo Yemen, riportando che ” nel 2103 e nel 2014 l’Italia ha concesso licenze per l’esportazione di grandi quantità di componenti per bombe MK83,alcune delle quali sono state poi trovate da Human Rights Watch sul terreno dello Yemen. Tra le licenze c’è anche un contratto di 62 milioni di euro per 3650 bombe. Nelle licenze del 2013 e 2014 la destinazione non è specificata.”
Sono molti ad aver sollevato alcuni dubbi in merito. Patrick Wilcken di Amnesty International ha sottolineato come l’Italia, adempiendo ai suoi obblighi internazionali, dovrebbe valutare caso per caso il rischio di trasferire armamenti in qualsiasi Paese, valutando se chi riceve le armi le può utilizzare per compiere o facilitare gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, la questione è arrivata anche in Parlamento, dove il deputato Mauro Pili del gruppo misto ha posto una interrogazione,come ha riportato Valigia blu, l’obiettivo è di far luce sul commercio di armi con l’Arabia saudita e, in particolare, sull’esponenziale crescita della sola Sardegna.
Sempre grazie all’attività di ricerca del Sipri (Stocholm International Peace Research Institute) emerge che i principali clienti dell’Italia sono gli Emirati Arabi Uniti seguti da India e Turchia. Ora l’esportazione e il commercio di armi verso Paesi in guerra o coinvolti in vari conflitti è in contrasto con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite ed è esplicitamente vietato dalla legge 1885 del 1990. Il divieto si può aggirare come di fatto accade soltanto nel caso in cui i due governi abbiano stipulato un accordo intergovernativo nel campo della difesa con menzione specifica della regolamentazione dell’import-export dei sistemi di arma. Cresce anche l’export verso l’Africa: per la prima volta nel 2015 la regione subsahariana ha superato il Nord Africa. Si parla di 152,9 milioni di euro arricchiti anche dall’ingresso dello Zambia il cui valore è passato da 0 a 93 milioni tra il 2024 e il 2015. Il resto della torta è spartito principalmente da Kenya, Algeria e Marocco.