Quando nella primavera del 2013, il Viceministro Catricalà lanciò la proposta di mettere a gara la Concessione del servizio pubblico radiotelevisivo e di consentire lo “spacchettamento” del canone, Articolo 21 comprese che era giunto il momento di promuovere una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, in particolare delle nuove generazioni, perché fossero preservati i principi costituzionali che legittimano l’esistenza stessa del servizio pubblico: pluralismo, indipendenza, certezza delle risorse ed esclusività. Momenti rilevanti di questa campagna sono stati i numerosi convegni tenuti al Cnel, nelle Università di Torino e Trieste, a Villa Medici nel corso degli incontri di Eurovisioni. In tutte queste circostanze, i membri del Governo e i rappresentanti dei partiti di maggioranza hanno sempre assicurato il rispetto di questi punti fondamentali criticando fermamente, anche in Commissione di Vigilanza, l’assegnazione di quote del canone ai privati. Certo, la riforma n° 220/2015 ha ridimensionato gran parte di questi propositi, ma finora nessuno si era spinto così oltre da riesumare le tesi di Catricalà. Si dirà che, interpellato sulla questione, il Ministro si è limitato a rispondere in modo interlocutorio: “E’ un ragionamento che va fatto”. Tuttavia, questo non basta a dissipare i timori, perché mentre la Gasparri assegnava la Concessione del servizio pubblico alla Rai per legge, la Riforma del 2015 ha declassato la Concessione a mero atto amministrativo del Governo e, inoltre, prevede, tautologicamente, che sia assegnata alla società concessionaria (la Rai non è nominata). D’altronde, un fatto è certo: il 6 maggio 2015 si è lasciata scadere una Concessione che bisognava semplicemente rinnovare e da allora si è proceduto con ripetute proroghe. Per quale motivo si è voluto imporre questa spada di Damocle alla Rai? Perché il Ministero non procede immediatamente al rinnovo decennale della Concessione stralciando questo “atto amministrativo” dalla Convenzione che definisce la mission e gli obblighi del servizio pubblico? Chi, o che cosa, trattiene il Governo dal varare un provvedimento di poche righe che metterebbe fine a questa ingiustificata irresolutezza?
La posta in gioco è alta e delicata: riguarda la democrazia nell’informazione e la garanzia del pluralismo politico e sociale. Significativamente, il Capo dello Stato accolse al Quirinale gli studenti finalisti del concorso, promosso da Articolo 21, “Una nuova carta d’identità per la Rai” con queste parole: “Cari ragazzi, abbiamo cambiato il programma in corso d’opera. Non era previsto un mio intervento, ma io non potevo allontanarmi senza rivolgervi un saluto e un ringraziamento. Vi ringrazio molto, questo incontro è interessante, è molto utile… Un augurio a chi (Articolo 21) ha promosso questa iniziativa così preziosa e un augurio naturalmente alla Rai che, nello svolgimento del Servizio pubblico, costituisce un punto di riferimento importante nel nostro Paese”.
Non resta che augurarsi che il Ministro Calenda nel “fare il suo ragionamento” sul futuro della Rai, tenga conto delle parole del Presidente Mattarella.