Di Sofia Nardacchione
23 imputati di cui 13 accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, 90 milioni di beni sequestrati, 221 anni di condanne chieste dal Pubblico Ministero.
Questi i numeri del processo Black Monkey, iniziato a Bologna nel novembre del 2013 e che arriverà a sentenza il 22 febbraio di quest’anno.
Black Monkey è il primo processo di ‘ndrangheta in Emilia Romagna, lasciato da parte da quasi tutti i media, locali e non, che hanno contribuito a una grande disinformazione a riguardo: se si chiedesse a un qualunque cittadino se ci sono processi di mafia a Bologna, molto probabilmente risponderà di no.
Eppure il processo vede alla sbarra un presunto clan ‘ndranghetistico con a capo Nicola Femia detto ‘Rocco’ che avrebbe creato un vero e proprio impero del gioco d’azzardo non solo in Emilia Romagna – a partire da Conselice, in provincia di Ravenna, dove la famiglia si è trasferita nel 2002 da Marina di Gioiosa Ionica – ma anche in Veneto, Campania, Puglia, Calabria, Inghilterra e Romania.
Secondo il Pubblico Ministero Francesco Caleca, che ha fatto una lunga requisitoria ripercorrendo tutti i fatti più importanti, il gioco d’azzardo era il “polmone finanziario dell’organizzazione”. Tutte le imprese di gioco d’azzardo che facevano capo a Femia avevano un “mercato parallelo” di schede contraffatte commercializzate su tutto il territorio nazionale.
Femia, intuendo il valore economico del settore decise di acquisire la Arcade s.r.l., società milanese produttrice di schede per le slot machines. Grazie a questa acquisizione, avvenuta per modalità occulte tramite prestanome, l’organizzazione iniziò a seguire l’intera filiera produttiva: dalla produzione alla commercializzazione. Inoltre, il controllo sui tecnici dell’Arcade si dimostrò utile anche per aggiornare il meccanismo di frode delle schede comma 6A… Continua su liberainformazione