“Non mi hanno mai intimidito: ho sempre querelato, l’ho fatto con il rampollo della famiglia Mancuso, figuriamoci se non l’avrei fatto nei confronti del sindaco di Nicotera, che in un consiglio comunale mi ha insultata pubblicamente per il mio fisico”. E’ una giornalista combattiva, Enza Dell’Acqua, corrispondente del Quotidiano del Sud da Nicotera, cittadina in provincia di Vibo Valentia al confine con quella di Reggio Calabria. Una delle zone più calde per i fatti di ‘ndrangheta, a pochi chilometri da Limbadi, il quartier generale del potente clan Mancuso.
Non di omicidi, non di droga, non di processi, aveva però scritto Enza per alienarsi le simpatie dei suoi compaesani. O meglio anche di questo, ma nel caso specifico per cui un’associazione del luogo ha deciso di zittirla raccogliendo delle firme contro di lei, si è trattato della cronaca di una “smargiassata” finita su tutte le televisioni nazionali: il matrimonio di due sposini del paese, lo scorso 28 agosto, per cui un elicottero con loro a bordo è atterrato nella piazza principale, sul caratteristico “affaccio”, in barba a tutte le regole di ordine pubblico. E un sospetto: che l’autorizzazione al gesto sia stata ottenuta proprio dai Mancuso, imparentati con lo sposo, e veri padroni del territorio.
Enza l’ha scritto e ribadito, anzi ha fatto di più: “Non ho solo scritto che era una chiara dimostrazione del potere mafioso, ma ho voluto precisare che si trattava di un vero e proprio sponsor della ‘ndrangheta per far vedere alle nuove leve o ad eventuali nuovi adepti che chi si arruola può accedere a quel tipo di lusso. Nei miei pezzi non potevo non dire che la mafia si stava facendo pubblicità di fronte alle piccole giovani leve, come a dire ‘chi sta con noi può accedere a questo lusso, può chiudere un centro storico, avere soldi, zittire sindaco e comandante dei vigili e ufficio tecnico, insomma può tutto”.
Come succede quando il dito indica la luna e l’idiota guarda il dito, però, i compaesani non l’hanno presa bene e hanno raccolto firme casa per casa contro di lei “perché con i suoi articoli rovinava l’immagine del paese”. Un comitato organizzato, il “Movimento civico 14 luglio”, nato per portare alla luce i problemi veri di Nicotera, cioè il mare inquinato e l’acqua corrente sempre sporca e impura, ha provato a metterla a tacere aizzandole la gente contro.
I problemi di un paese sciolto tre volte consecutive per infiltrazioni mafiose non saranno certo dei giornalisti, viene da riflettere a chi un minimo conosca la realtà di quei territori. Eppure l’immagine conta più della sostanza, per chi ha voluto puntare il dito contro la collega del Quotidiano. “Ho scritto anche che quel comitato ha un direttorio ombra negli ambienti della politica, e che quindi, pur essendo nato con buoni intenti, sta sbagliando strada, perché invece di andare a bussare alle porte di Arpacal, Regione, Comune, SoriCal, cioè dei responsabili del nostro mare che è una fogna e dell’acqua gialla che esce dai rubinetti, se la prende con i giornalisti”. Non solo la raccolta firme però, ma anche insulti e minacce continue: parole sessiste volate anche in sedi ufficiali, e per cui Enza ha sempre querelato: “Non sono stata zitta, perché non sopporto di assistere in modo passivo a delle cose che vanno contro la legalità, contro il vivere nel rispetto delle regole e visto che io scrivo ho il ruolo di raccontare tutti gli aspetti della realtà. Mi occupo di ambiente, appalti, sicurezza temi che si vanno a scontrare con la ‘ndrangheta. Ma fare il giornalista vero è questo”.
Un’evidenza per chiunque legga da fuori, ma non nella terra del silenzio. Un silenzio che chi scrive conosce, perché dalla stessa terra viene. Lo conferma Enza, che in quei posti ci lavora anche: “Quando le televisioni sono arrivate a Nicotera, a parlare davanti alle telecamere c’erano solo persone dell’organico del clan. Non si è trovata una sola persona onesta a difendere la legalità contro quel gesto di prevaricazione, benché in paese ce ne siano tante. Ma queste hanno taciuto per paura. Perché è la paura è la vera grande forza della mafia”.
Quando si parla di mafia e parole si parla di un rapporto difficile, soprattutto se la mafia è quella calabrese, cresciuta a dismisura proprio nel silenzio creato dall’ombra di Cosa nostra. Sfondare il tetto di vetro è difficile, ed è questo che la collega del Quotidiano del Sud si propone di fare: “Noi che lavoriamo qui vogliamo solo raccontare i problemi del territorio che rendono infima la nostra qualità di vita. Solo che l’ostacolo più grande non è la ‘ndrangheta, ma questa società che non vuole essere raccontata e vuole vivere nella sua rassegnazione e nel silenzio”. Succede poi che se cerchi di squarciare il velo del silenzio sui problemi veri, il criminale, secondo alcuni, diventi proprio tu.