Che l’informazione in Italia abbia innumerevoli pecche, che la posizione che occupiamo nella classifica di Reporter Sans Frontières sia umiliante e che ci sia anche una drammatica tendenza di una parte del mondo del giornalismo ad esaltare oltre il limite della decenza il potente di turno per accattivarsene le simpatie e, talvolta, i favori è una delle ragioni costitutive di quest’associazione. Siamo nati, ormai quindici anni fa, proprio per contrastare la cattiva informazione, per opporci con decisione a tutte le censure, a tutti i bavagli e a qualunque forma di barbarie e di ingiustizia, per illuminare le periferie dimenticate, per batterci contro le querele temerarie e per difendere quei colleghi che vivono e lavorano in terra di frontiera, spesso subendo violenze verbali, e talora anche fisiche, d’ogni sorta, comprese minacce e intimidazioni da far tremare le vene e i polsi.
Siano nati, insomma, come argine all’indecenza e all’ingiustizia e, proprio per questo, credo che abbiamo i titoli adatti per reagire all’attacco sferrato ieri da Grillo all’indirizzo di tutte le testate, cartacee e televisive, a suo dire responsabili della fabbricazione e della diffusione di bufale al fine di compiacere il potere.
Ribadisco: non prendiamo lezioni su un argomento tanto delicato e non possiamo accettare nella maniera più assoluta che si parli, sia pur provocatoriamente, di giuria popolare per mettere, di fatto, alla gogna quei giornalisti la cui unica colpa sarebbe quella di esprimere una visione del mondo in contrasto con quella del grande capo dei pentastellati, in quanto il concetto di verità è relativo e se c’è un ambiente che proprio non può parlare di diffusione costante di bufale, questo è il circolo internettiano che ruota intorno al M5S, arrecandogli un danno in termini di immagine e di credibilità che ben pochi in quella compagine hanno ancora compreso.
Ciò detto, mi convince assai poco anche la proposta del ministro Orlando e del presidente dell’Antitrust Pitruzzella di operare un controllo anti-menzogne sulla rete, tramite un’agenzia pubblica, in quanto quello che vale per Grillo vale anche per gli altri: il concetto di verità, come detto, è relativo e, a meno che non si sia in presenza di un’oggettiva e inoppugnabile manipolazione della realtà, il resto rientra nel campo delle opinioni e le opinioni, anche quando sono espresse male o sono distanti anni luce dalle nostre, in una democrazia compiuta sono sempre e comunque legittime.
Il vero dramma, in Italia, è un altro, ossia il fatto che ormai a confrontarsi siano tre populismi complementari, ugualmente feroci e ugualmente agguerriti, soprattutto nel contesto del web, dove è più facile incontrare personaggi che mai si frequenterebbero nella vita reale e dai quali si cerca in ogni modo di tenersi alla larga, trattandosi per lo più di soggetti violenti, incattiviti da una crisi economica che non accenna a placarsi e desiderosi di sfogare la propria rabbia e la propria furia verbale contro chiunque non accetti di piegarsi alla loro visione del mondo, spesso alquanto ristretta, e alle loro certezze dogmatiche, spesso basate su informazioni incomplete o, talvolta, del tutto sbagliate. Da qui la diffusione di bufale, da qui l’espressione “webeti” coniata con discreto successo da Mentana, da qui la richiesta di una stretta sulla mitologica libertà della rete e da qui la reazione sdegnata, anche se profondamente strumentale, di Grillo e della galassia a lui vicina.
Ribadisco: dissento sia dalle sparate di Grillo sia dalle garbate affermazioni di Orlando e Pitruzzella. Le cosiddette bufale, infatti, possono essere smentite o contrastate ma non eliminate, come non possono essere eliminate dal contesto dell’informazione “mainstream”, essendo legate al livello culturale e all’onestà intellettuale del singolo giornalista e del singolo utente di internet e, in particolare, dei social network. Inoltre, di strumenti per contrastare la diffamazione e le calunnie ne esistono già abbastanza ed è assai opportuno evitare che venga istituito una sorta di Ministero della Verità che ci condurrebbe più in un romanzo di Orwell che nel quadro di una società democratica occidentale.
Tornando, dunque, all’aspetto principale della questione, il problema è che finché il dibattito politico italiano sarà egemonizzato da questo tipo di forze politiche, con opinionisti e commentatori di fiducia al seguito, ci sarà poco da fare: sangue, arena, rodeo e barbarie non ce li toglierà nessuno, trattandosi di uno scontro incarognito da anni di reciproche accuse, querele ed insulti nonché da atti di arroganza e soprusi dall’una e dall’altra parte, benché le responsabilità di chi sta al governo siano, francamente, maggiori e purtroppo non sia stata certo la pacatezza dei toni la caratteristica principale del soggetto dimessosi in seguito alla sconfitta referendaria dello scorso 4 dicembre.
Finché a dominare sarà questo clima di sospetto, sfiducia e diffidenza reciproca, spiace dirlo, ma le tifoserie non ammaineranno i vessilli e sarà impossibile assistere a un confronto più civile e costruttivo, nell’interesse del Paese e, più che mai, di quei ceti sociali ridotti in ginocchio dal progressivo peggioramento delle proprie condizioni di vita cui, stando così le cose, non rimane che l’insulto indecente sulla pagina Facebook del primo politico od opinionista che capiti loro a tiro per far comprendere il proprio malessere e il proprio disagio sociale. Un malessere e un disagio sociale che va capito, analizzato, scandagliato e approcciato con la dovuta umiltà, evitando di fare gli offesi, di gridare alla lesa maestà e di trovare alibi insulsi per voltarsi dall’altra parte e far marcire ulteriormente una situazione ormai insostenibile, destinata ad aggravarsi e a generare una spirale d’odio e di violenza ancora più forti se, per esempio, non si varerà in pochi mesi un salutare reddito di cittadinanza, se non la si smetterà di affogare le nuove generazioni in un oceano di voucher, se non si riscoprirà e non si rimetterà al centro quel valore imprescindibile che è la dignità della persona, che oggi sembra stare a cuore unicamente a papa Francesco, e, soprattutto, se non si impegnerà ogni forza, con coraggio e determinazione, per ricostruire una sinistra in grado di porre la lotta contro le disuguaglianze al centro del proprio programma, accantonando blairismo, terzaviismo e altre drammatiche illusioni con le quali ci siamo presi in giro per vent’anni, fino a diventare autoreferenziali e invotabili.
Perché non sarà la guerra contro Grillo e il M5S a renderci migliori né ci farà bene ignorare i tanti aspetti positivi di questa bizzarra creatura: possiamo e dobbiamo criticarli quando esagerano o esprimono concetti che nulla hanno a che vedere con i princìpi democratici alla base della Costituzione che abbiamo difeso giusto un mese fa ma non sarà certo un PD che ha riportato la RAI a prima della riforma del ’75 a difendere la libertà d’informazione o a farsi interprete dei nostri valori.
Il renzismo, che piaccia o meno anche ad alcuni amici e compagni cui voglio bene ma con i quali mi trovo da tempo in disaccordo, non è un populismo gentile o un argine al grillismo più deteriore: è parte del problema, in quanto si tratta di un populismo d’élite che sostituisce i diritti con i bonus e con i voucher, favorendo l’ascesa tanto del M5S quanto della Lega a trazione lepenista di Salvini.
Ripeto per l’ennesima volta ciò che ho già scritto in mille occasioni: chi mangia tutti i giorni può anche permettersi di pensare alla filosofia; chi si vede scivolare sempre più verso il basso, invece, sta attento alla sostanza, non ai congiuntivi e la sostanza è che le presunte élites mondiali sono le principali responsabili, specie a sinistra, della catastrofe di una globalizzazione sregolata e non meno antidemocratica, pericolosa e devastante delle trovate di Grillo. E i media che continuano pervicacemente a sostenere questo sistema sono indifendibili, essendo complici di un mostro che sta minando le speranze e le prospettive di milioni di persone in tutto il mondo.
Sulla necessità di distinguere, di non fare di tutta l’erba un fascio e di evitare generalizzazioni offensive e calunniose concordo con Mentana, con Giulietti e con la Federazione Nazionale della Stampa; tuttavia, occhio anche agli ipocriti che indicano giustamente il dito di un comico che da troppo tempo svolge un mestiere che non è il suo per nascondere la luna di un problema spaventoso e con il quale, prima o poi, sarà il caso di iniziare a fare seriamente i conti.
A tal proposito, le prese di posizione di Bersani e D’Alema, figlie di una presa di coscienza personale senz’altro favorita dal dibattito diffuso, e alle volte anche scomodo, che caratterizza il nostro tempo, le discussioni che hanno suscitato e le loro sacrosante considerazioni sulla necessita che la sinistra torni a dire, e soprattutto a fare, qualcosa di sinistra, compiendo al tempo stesso un’autocritica amara e straordinariamente audace, vanno nella giusta direzione, come andò nella giusta direzione Letta quando affermò che fosse necessario comprendere a fondo il fenomeno grillino.
Le demonizzazioni, i ‘crucifige!”, le grida selvagge e e gli schiamazzi da curva li lasciamo volentieri alle squallide tifoserie che ogni giorno riescono a ribadire la propria miseria morale, culturale e politica. A noi il compito di analizzare, stigmatizzare, aiutare i lettori a capire e provare a costruire, nel nostro piccolo, una società diversa e migliore.
È il compito e la missione storica del buon giornalismo. È una delle ragioni principali per cui nacque Articolo 21 e per cui continua a esistere.