Era ora, finalmente. Da tempo non scrivevo di Grillo e dei grillini (che preferisco sempre chiamare grilletti) ma adesso che la maschera sta calando, come un sipario sfibrato, vale la pena di farci su una riflessione. C’è stato chi diceva “di lotta e di governo” cercando di dare una direzione, e una speranza, a un partito che al governo non andava mai ma nel Paese contava eccome. Poi la politica con scandali, mani sporche e tanta incapacità di comprendere si è resa vulnerabile fino al punto di raggiungere, in peggio, una certa qual forma di maturità: sostituire i lanci rabbiosi delle monetine con un semplice grido scandito: “onestà”. Dietro il sipario di un comico che non fa più ridere ma dava il tempo a quell’urlo c’era però qualcos’altro che si poteva intuire. C’era e c’è il meglio del populismo gaglioffo, il peggio del primo giacobinismo o se preferite dei primi passi della marcia su Roma che arruolava tutti e li fondeva nell’opportunismo degli sbandati. Adesso, e finalmente, Grillo cala una maschera che deve aver pesato tanto in questi anni, quella del padre nobile di una nuova generazione di politici candeggiati, altroché puliti, liberali ma anche anarchici, di sinistra ma solo a fasi alterne, xenofobi quanto basta, insomma tutto e nulla, politici “on demand”, buoni per ogni mal di pancia. Ragazzotti terrorizzati dal doversi far carico di un governo, di mostrare una leadership che non c’è, a volte anche solo di presentare un amministratore alfabetizzato.
La paura di vincere fa fare più sciocchezze di quella di perdere e tutto diventa plastilina, pongo. Gli inquisiti che prima venivano appesi al web a testa in giù, e qualcuno laicamente se ne fregava rispondendo giustamente al solo mandato degli elettori, verrebbero adesso perdonati, verrebbe permesso un “colpo in aria”, ma sia chiaro: non una raffica dritta al petto… Se gli dovessero dare trent’anni allora fuori! La cittadina sindaca va salvata, mica possiamo perdere la Capitale, costerebbe un capitale. Su questi valori non si scherza. Ma poi si va oltre, dal direttorio siamo passati al direttore d’orchestra, uno solo, come i dittatori del secolo scorso e all’ombra della Casaleggio & C. bisogna firmare abiure e dimissioni in bianco, agli elettori un sentito “me ne frego”. Tanto sono tanti. Bisogna bloccare il consenso fortemente agguantato, farlo restare tale. Le colpe di un amministratore incapace, un filotto di imbarazzanti pantomime, amori e collaboratori sbagliati non possono far perdere l’unico scopo di tutto questo duro lavoro: diffondere una visione da Armageddon del futuro senza mai fare i conti con il governo del presente, gustare il piacere di fare il controcanto al Capo dello Stato, contare molto senza valere altrettanto. Per tutto questo godimento anche una fornita carta di credito non basta. È qui che, forse disorientato dall’ennesima richiesta di “bis”, il capocomico si guarda intorno cercando l’idea che scuote. I grilletti sono in attesa del nuovo verbo, di un’altra iniezione di qualcosa che sembra funzionare perché raccoglie voti e plausi da uno scontento dove le mani escono sempre piene. Ma il capo non si regola e la maschera scivola giù. “Propongo non un tribunale governativo – dice Grillo – ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali”.
Un capolavoro Beppe. Forse esattamente la stessa cosa che avevi già in gola mentre ti aggiravi con una giacca chiara e uno scooter immacolato tra i giovani che ripulivano dal fango Genova, la tua Genova. Hai fatto bene ad accelerare, a farti scortare da muscolosi guardaspalle per evitare che quella uscita, nella tua città, finisse a badilate. La giacchetta era proprio bella, candida, un peccato lordarla. Ma la colpa, hai ragione, non è tua. Se qualcuno ti vede come sei la colpa è dei giornali, delle fandonie che scriviamo. Se poi le bufale pascolano principalmente sul tuo terreno d’elezione, di nome e di fatto, il web, poco importa. Ecco l’idea: un tribunale speciale. Idea non nuova, Mussolini ti ha dato tante lunghezze nel tempo e nella magnitudo che non sapresti calcolarle. Ma tu, di quel vecchio strumento di tortura della libertà di parola, proponi una versione nuova e ancora più fragile: estrarre a sorte un coniglio dal cappello, farlo parlare e farne un giudice monocratico. Che importa se abitualmente legge solo di canoa? Dirà la sua di politica, economia, Europa, lavoro, etica… Basta con le adunanze sul web, tra quelli che si chiamano, o chiamavano, l’un l’altro “cittadino”. Di ‘sti benedetti ragazzi, della loro buona volontà, dei loro goffi rossori forse ti sei stufato anche tu. Adesso si va dritti al problema. Chi parla contro, scrive contro e non si allinea: kaputt. Che questo mestiere, quello di fare il giornalista, sia previsto dalla Costituzione, nel suo (giuro è un caso) Articolo 21, poco importa. Il signor Gigi estratto a sorte potrà giudicare anche Montanelli (perché limitarsi al presente?) e noi, vedrai, tremanti lo staremo a sentire implorando, a te, un po’ di comprensione. Siamo già spaventati oggi, figurati domani.