Da qualche anno ho deciso di provare a diventare una giornalista. E in questi giorni, all’impegno nello studio e nella pratica necessari per imparare il mestiere, si aggiungono la preoccupazione e lo sconcerto per le affermazioni del leader dei 5stelle, Giuseppe Piero Grillo. Perché al di là dei sogni di un’aspirante giornalista, c’è che prima di tutto sono antifascista. Qualunque tipo di fascismo. Chiedere una “giuria popolare contro le -presunte- balle della stampa e della TV” è un atteggiamento fascista senza se e senza ma, perché presuppone che la Verità sia una sola: quella di chi dice che per i giornalisti ci vuole il patibolo. Avvicinarsi a questo mestiere, il giornalismo, non è semplice (qual è la professione in cui mancano i problemi?), a maggior ragione perché un’informazione libera e seria è alla base della partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. E i giornalisti hanno il delicato compito di fungere da intermediari tra i fatti e le persone. Grazie all’esperienza di chi mi sta insegnando il mestiere, sto imparando a raccontare quello che succede lasciando da parte simpatie ed antipatie, il bello stile e gli arzigogoli perché l’importante è arrivare alle persone offrendo un servizio a chi vuole usufruire del diritto di essere informato.
Niente vittimismi, nessuna giustificazione: più mi avvicino al mondo del giornalismo, più tocco con mano che al suo interno esistono rapporti di potere; che il modo in cui alcune informazioni vengono date è parziale o addirittura di parte; che c’è troppo spazio per il linguaggio dell’odio e poco per il giornalismo d’inchiesta. Ma oltre a tutto ciò, vedo anche che non mancano le minacce e le aggressioni. Adesso so che quando avrò il dovere di illuminare delle situazioni critiche dovrò affrontare querele con richieste di risarcimento altissime che hanno un solo obiettivo: intimidire chi ha scoperto dei fatti che dovevano rimanere all’oscuro. So anche che se le regole del gioco non cambieranno, chi userà la querela per intimorire non verrà in alcun modo punito dalla legge. In Inghilterra avrei vita più facile: se il giudice stabilisce che la querela è temeraria, bisogna pagare il doppio di quanto richiesto al giornalista. E poi non c’è la giuria popolare. Ma non me vado da qui.
Rimango ad affrontare i problemi che chi conosce il mestiere del giornalismo, deve combattere ogni giorno, senza una giuria popolare con “persone estratte a sorte” che determinino “la veridicità delle notizie pubblicate dai media” e a cui accollare la responsabilità di giocare a fare il boia. Se i giornalisti sbagliano, attualmente non solo possono essere querelati ma possono anche finire in galera. Mi sembra che in una democrazia questo vada ben oltre la sufficienza. E da cittadina mi sembra anche che la democrazia vada difesa ogni giorno da chi, per professione, cerca di aizzare il popolo; di creare barriere e confini urlando per essere ascoltato. Non solo. Più alleno la mano e la lingua per informare correttamente, più capisco che la democrazia va difesa da chiunque per stare bene abbia bisogno di un applauso disperato.