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Uno squarcio alla Costituzione

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La Corte di Cassazione ha deciso che il maggior profitto di un’azienda è giusta causa di licenziamento. Questo squarcio alla Costituzione va denunciato in tutta la sua gravità, perché è in netta contraddizione con la tutela del lavoro espressa dalla Carta.  Infatti, anche se l’art. 41 esordisce con il principio che “L’iniziativa economica privata è libera”, poi, tale concetto generale viene delimitato da precise condizioni: “(L’iniziativa economica) Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L’intero dettato, quindi, delinea una gerarchia crescente di tutele, all’apice della quale c’è la dignità umana di chi lavora. Un conto è licenziare per una crisi economica come extrema ratio per il salvataggio di altri posti di lavoro; ben altro caso è licenziare senza alcuna emergenza, ma solo per aumentare il profitto. Questo – per altro – quando già il jobs act ha esteso la possibilità di reimpiego del lavoratore oltre il limite del demansionamento.

A ben guardare, la Cassazione non ha  assunto una decisione eccentrica, ma ha recepito il clima di svalutazione del lavoro, causato proprio dall’abolizione dell’art.18, con il colpo di grazia del jpbs act e la liberalizzazione dei voucher dai piccoli lavori agricoli e stagionali, a tutti i settori.
In questo contesto di precarizzazione del lavoro, il referendum sull’art. 18 – per annullare il suo recente svuotamento – diventa la linea dove ci si dovrà battere, affinché la crisi in corso non si scarichi tutta sui lavoratori. Che sono ancora una classe sociale e che – mai come ora – avrebbero bisogno di un partito “di classe”, che si battesse per affermare la loro dignità. Insomma, un partito che non cerchi voti a destra, ma che si preoccupasse delle tutele dei più deboli, contro la priorità del profitto. Che sta concentrando la ricchezza in pochi e estendendo la povertà a tanti. L’esatto contrario della “società costituzionale” progettata nella Carta.

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