Nell’udienza del 28 dicembre , il giudice ha disposto la scarcerazione in attesa del processo di Nabeel Rajab, il più noto difensore dei diritti umani del Bahrein, la monarchia del Golfo persico che dalla “primavera araba” del 2011 ha scatenato la repressione contro il dissenso. Immediatamente, la procura ha presentato nuove accuse e Rajab è rientrato in carcere in attesa della prossima udienza del processo, prevista il 23 gennaio. Rajab, 52 anni, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, è agli arresti dal 13 giugno. Accusato di aver diffuso “notizie false in tempo di guerra” e “voci allo scopo di screditare lo stato” via Twitter, rischia fino a 13 anni di carcere, cui potrebbero aggiungersene altri per un articolo pubblicato a settembre sul New York Times e per un altro, uscito su Le Monde alla vigilia di Natale, critici nei confronti del governo.
La “guerra” su cui Nabeel Rajab avrebbe diffuso notizie false è quella che si svolge dal marzo 2015 in Yemen, dove una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e di cui fa parte anche il Bahrein sta portando avanti un’incessante campagna di bombardamenti aerei, molti dei quali costituiscono crimini di guerra. Le “voci” riguardano invece la situazione dei diritti umani nel paese, in particolare la tortura nelle carceri, e i rapporti tra il Bahrein e lo Stato islamico, nel quale secondo Rajab sarebbero finiti a militare vari funzionari del regno.
Rajab è nel mirino degli al-Khalifa, la famiglia reale sostenuta, armata e protetta dai governi di Washington e Londra, sin dal 2012. Questi i suoi precedenti: due anni di carcere tra il 2012 e il 2014 per aver promosso e preso parte a manifestazioni pacifiche ma non autorizzate e aver in quel modo arrecato “disturbo all’ordine pubblico”; divieto di espatrio emesso nei suoi confronti nel novembre 2014 e tuttora in vigore; sei mesi di carcere nel 2015, poi ridotti a due per motivi di salute, per aver diffuso “un messaggio che potrebbe istigare l’opinione pubblica e mettere in pericolo la pace”.
Le organizzazioni per i diritti umani considerano Rajab un prigioniero di coscienza e continuano a sollecitare le autorità del Bahrein a proscioglierlo da ogni accusa e a rilasciarlo.