Rocco Artifoni
Nel progetto di revisione costituzionale bocciato dagli elettori con il referendum del 4 dicembre c’erano alcune proposte valide, che avevano trovato consensi anche tra i sostenitori del No. Alcuni di questi cambiamenti potrebbero essere riproposti e probabilmente approvati dal Parlamento. In questo modo si potrebbe verificare nel merito sia la sincerità dei promotori sia quella degli oppositori, che spesso hanno giustamente sollevato e anteposto questioni di metodo sul processo di riforma costituzionale. Considerato il fatto che in Parlamento esiste ancora una maggioranza e che tali proposte dovrebbero trovare consensi anche tra le minoranze, non dovrebbe essere troppo difficile trovare soluzioni positive. Proviamo a fare qualche esempio concreto.
1) Se il “contenimento della spesa per il funzionamento delle istituzioni” restasse un obiettivo da perseguire, si potrebbe procedere in altri modi. Per esempio, dato che le indennità dei parlamentari sono stabilite con legge ordinaria, per ottenere il risparmio previsto con l’abolizione dell’indennità dei senatori, si potrebbe in alternativa ridurre di un terzo l’attuale indennità percepita da tutti i parlamentari. Per coerenza la maggioranza dei parlamentari che ha approvato la revisione costituzionale dovrebbe essere d’accordo e con buona probabilità questa proposta potrebbe trovare il consenso di minoranze che hanno già avanzato risoluzioni analoghe. Un discorso simile si potrebbe fare anche per porre un tetto alle indennità stabilite per i consiglieri regionali e per il divieto di effettuare rimborsi ai gruppi politici presenti nei consigli regionali, che la riforma prevedeva: una legge ordinaria potrebbe determinare risultati analoghi a quelli che si volevano ottenere.
2) Nel testo della legge di revisione costituzionale si affermava che “la legge della Repubblica stabilisce altresì i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”. Sarebbe logico e conseguente presentare questa proposta di legge, che prescinde dalla Costituzione, o meglio, che darebbe attuazione ai principi costituzionali di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso (art. 3 Costituzione).
3) È possibile indicare tempi certi entro i quali debbano essere discusse e votate dal Parlamento le leggi di iniziativa popolare: la legge di revisione costituzionale conteneva questa proposta, che in realtà veniva rinviata ai regolamenti delle Camere. Nulla vieta che, senza intervenire sulla Costituzione, i regolamenti parlamentari vengano comunque modificati in tal senso, fissando un termine per l’approvazione di queste leggi presentate dagli elettori. I regolamenti del Parlamento attualmente si possono modificare con la maggioranza assoluta degli aventi diritto.
4) Analogamente si potrebbe intervenire sui regolamenti parlamentari per velocizzare il passaggio delle normative da un ramo all’altro del Parlamento. Ad esempio, si potrebbe prevedere che, qualora un disegno di legge venisse approvato da una delle due Camere, l’altra abbia l’obbligo di decidere su quel provvedimento entro una data certa. In questo modo non ci sarebbero più proposte di legge ferme anche per tempi indefiniti nel secondo ramo del Parlamento, dopo la prima approvazione. Questa procedura contribuirebbe sicuramente alla velocizzazione del procedimento legislativo, obiettivo dichiarato dai fautori della revisione costituzionale, pur salvaguardando il procedimento bicamerale.
5) La riforma prevedeva l’introduzione dello “statuto delle opposizioni”, il cui contenuto sarebbe stato approvato dai regolamenti parlamentari. Pertanto, nulla vieta di procedere per realizzare questa proposta, inserendola nei vigenti regolamenti, dato che – a detta dei promotori – dovrebbe servire a tutelare le minoranze. A tal proposito, per evitare che la maggioranza dei parlamentari determini che cosa possano fare o non fare le minoranze, sarebbe necessario che anche le regole per l’approvazione dei regolamenti parlamentari venissero modificate, passando dalla maggioranza assoluta ad almeno i tre quinti dei componenti. Questo di fatto sarebbe il più consistente “statuto delle opposizioni”, cioè la reale garanzia che le minoranze non debbano sottostare comunque alle imposizioni metodologiche della maggioranza. Come scriveva Piero Calamadrei nel 1948, “il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza”.
Questi sono soltanto alcuni esempi di riforme possibili, che potrebbero essere seriamente considerate, se l’attuale classe politica fosse davvero interessata ai miglioramenti delle procedure e delle normative, senza necessariamente mettere in gioco la Carta Costituzionale, troppo spesso utilizzata strumentalmente per altri scopi.