Non festeggio: mi ero impegnato a non farlo, quando ancora non si conosceva l’esito del voto e l’incertezza regnava sovrana, e non lo faccio adesso che pure, grazie all’impegno gratuito e straordinario di milioni di cittadini, abbiamo salvaguardato la Costituzione, ossia l’unico bene comune che ci è rimasto in questi tempi bui.
Ho rispetto e stima, sentimenti sinceri, verso i tanti amici e compagni con i quali mi sono trovato, purtroppo, a dover discutere e, talvolta, persino litigare in questi mesi ma che ora vorrei abbracciare uno ad uno, proponendo loro di ricominciare, insieme, archiviando questa tristissima pagina storica costituita dal renzismo.
No, non è stata una parentesi: occhio alle semplificazioni crociane e agli eccessi di ottimismo, in quanto Renzi non è ancora stato del tutto sconfitto e, da segretario del PD, può ancora arrecare una miriade di danni alla nostra democrazia, come se non bastassero quelli che ha già arrecato in questi anni al partito e al Paese.
Agli amici e compagni che hanno scelto il SÌ voglio dire, con profonda sincerità, che non hanno perso loro: ha perso solo e soltanto lui, insieme alla sua arroganza e alla grettezza di un partito che da anni si è chiuso in se stesso, rifiutando ogni forma di dialogo, di collaborazione e di ascolto nei confronti chiunque si trovasse all’esterno e finendo così col disgustare centinaia di migliaia di iscritti e milioni e milioni di elettori.
Matteo Renzi ha perso perché, specie quando si parla di Costituzione, il metodo è merito e lui ha esagerato sotto tutti i punti di vista: non sapendo vincere, ha finito col perdere tutto. Ebbene, noi non dobbiamo commettere il medesimo errore.
Una riforma imposta con maggioranze variabili e raccogliticce, colpi di mano, strappi, forzature e finanche una seduta fiume non poteva che produrre un testo pessimo sotto tutti i punti di vista, fortunatamente respinto da un popolo che ancora ci tiene alla propria dignità e al rispetto delle più elementari regole democratiche e istituzionali, benché in questi anni siano purtroppo venute meno.
Tuttavia, Renzi ha perso anche perché ha ingannato e preso in giro tutti: ha offeso i costituzionalisti, ha umiliato gente con un livello culturale mille volte superiore al suo, ha ridotto il partito di cui è diventato segretario a un cumulo di macerie e, fino a ieri sera, di fronte a un’evidenza troppo grande per essere negata, non si è assunto la benché minima responsabilità di questo sfacelo.
Ha diviso il mondo del lavoro, calpestato l’ambiente, lacerato e ferito il mondo della scuola e utilizzato ogni sorta di trucco per conservare il potere, ossia l’unica cosa che davvero gli interessi: ha reso peggiore l’Italia e persino persone un tempo adorabili, trasformatesi improvvisamente in mazzieri e giannizzeri di un modello indifendibile, ayatollah di una narrazione di cartapesta che altro non era che la costante e pervicace autocelebrazione di imprese mai compiute.
E così, questo Paese stanco, ferito, indebolito ma ancora evidentemente fiero di sé e della propria storia ha visto i giovani trasformarsi in partigiani del Terzo Millennio, le insegnanti in staffette, i lavoratori in persone dotate di una coscienza civica superiore a quella che credessimo, gli operai in ciò che erano un tempo e questo insieme di minoranze, coalizzandosi, ha compiuto il miracolo di respingere una cattiva riforma e di riportare al centro del dibattito politico una dialettica che, negli ultimi tre anni, è stata sospesa e sostituita con un monologo tanto fastidioso quanto quasi mai rispondente a dati di realtà.
A risultato acquisito, ripensando ai sacrifici e alle battaglie del mondo della scuola, posso dire che mi sembra di risentire le parole di Calamandrei, le quali riecheggiano nella loro freschezza e attualità, ci prendono per mano e ci indicano la rotta da seguire. Mi sembra di risentire il dibattito alto, nobile e bellissimo che si svolse nel corso dell’Assemblea Costituente e poi vedo i miei coetanei, fragili, spesso ritenuti a torto apatici e disinteressati, che nella Costituzione hanno trovato ciò che i partiti non sono più in grado di offrire: una bandiera, un’appartenenza, la ragione stessa di una passione e di un impegno.
Ha vinto una generazione coraggiosa e resistente, saggia e pronta a svolgere il proprio ruolo con la dovuta umiltà. Ha vinto un patto fra varie generazioni e categorie, ossia l’esatto opposto della rottamazione, delle divisioni manichee e del continuo innalzare muri e steccati fra il bene e il male, con una punta di sottile quanto tragico infantilismo che si è andato a schiantare contro problemi mille volte più grandi di una classe dirigente complessivamente inadeguata.
Infine, lasciatemelo dire, hanno vinto quanti in questi anni non hanno mai rinunciato a lottare, quanti non si sono rassegnati, non si sono arresi, non hanno seguito la corrente, remando, spesso in solitudine, in direzione ostinata e contraria, quanti hanno difeso idee e valori lunghi un’intera vita e hanno deciso di non ammainare, per squallida convenienza personale, i vessilli e i principî della sinistra e del miglior costituzionalismo.
Personalmente, ho combattuto avendo davanti a me gli esempi straordinari di un padre indomabile, che ha trascorso l’intera vita in minoranza senza mai smarrire il rispetto della collettività e sconfiggendo, con la sola arma del suo coraggio e della sua resistenza, persino un cancro, e dei miei insegnanti, cui devo molto di ciò che so e che sono e che ho sentito più che mai vicini nei momenti difficili e nel momento più importante.
Abbiamo vinto insieme, unendo storie diverse e ritrovandoci sotto un unico tetto: quello della nostra casa comune, per poi tornare a discutere ma avendo riaffermato il principio per cui le regole si scrivono insieme e non da soli o contro qualcuno.
Non so cosa farà adesso quest’uomo palesemente di destra, amico di Verdini, alleato di Alfano e in rapporti stretti con Netanyhau, che si spaccia per un uomo di sinistra: so soltanto che se la sinistra vuole avere un domani deve assolutamente scindere il proprio destino da quello di questo signore e riappropriarsi dei propri ideali e delle proprie parole d’ordine, comprendendo che la fase storica del liberismo selvaggio, ossia una delle stagioni più tristi e distruttive di sempre, si è ormai conclusa a livello mondiale e che per sconfiggere i mostri alla Hofer occorrono persone sagge e autentiche come, ad esempio, il verde Van der Bellen.
Noi dovremo avere la forza di ricominciare, di ricucire, di prendere in mano l’ultimo brandello di Ulivo che ci rimane ed elevarlo a simbolo di una nuova sinistra possibile, aperta anche ai movimenti e rispettosa nei confronti di quel vasto mondo grillino che noi abbiamo creato con la nostra arroganza e che invano ci ha chiesto per anni un ascolto che ci siamo rifiutati di offrirgli.
L’importante sarà cambiare rotta e non lasciare indietro nessuno, accantonare termini insulsi come “casta”, “buonismo”, “populismo” e simili, lasciare i gufi alle favole, riprendere ad ascoltare i saggi consigli dei “professoroni” e tenersi per mano. Così uscimmo dalle tenebre del fascismo e della guerra, così possiamo venir fuori dalle macerie di un Paese moralmente distrutto, più che mai conflittuale e senza più i partiti solidi di allora ad incanalare rabbia, furia e disperazione. Insieme, senza rancore e senza crearsi un nemico al giorno. Perché la differenza fra uno statista e un agit prop si vede proprio dalla sua capacità di vincere e di far proprie le ragioni degli altri: a dieci giorni esatti dal ventesimo anniversario della scomparsa di don Giuseppe Dossetti, nello spirito di Oliveto di Monteveglio, questa più che mai deve essere la nostra missione.