Vittoria del No al referendum costituzionale del 4 dicembre, dimissioni di Matteo Renzi, governo tecnico, possibile uscita dall’euro. Soprattutto, a sorpresa, l’’Economist’, espressione giornalistica di uno dei cosiddetti “poteri forti” europei, ha tifato per la nascita di un governo tecnico per sostituire quello logorato guidato da Renzi e realizzare le riforme delle quali ha bisogno l’Italia. Un editoriale, tra il provocatorio e l’interventista, ha rimesso indietro le lancette dell’orologio della politica italiana.
Lo spauracchio girava da tempo sottotraccia, poi il settimanale britannico ha fatto scoppiare la bomba: un governo tecnico modello Mario Monti (stangò contribuenti e aspiranti pensionati) al posto dell’esecutivo Renzi. Secondo l’editoriale dell’influente giornale finanziario del Regno Unito, poi in parte rettificato, «l’Italia potrebbe avere un governo tecnico come tante volte ha fatto in passato». Il pressing è perché gli italiani votino No al referendum sulla riforma costituzionale del governo e «le dimissioni di Renzi non sarebbero una catastrofe che tanti in Europa temono».
Però il governo tecnico, quello del rigore finanziario e dei tagli alle prestazioni sociali, non piace quasi a nessuno, è molto difficile che possa raccogliere una maggioranza in Parlamento. C’è un alt praticamente corale. In testa si oppone Renzi. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd ritiene possibile la vittoria del Sì e boccia nettamente l’ipotesi avanzata dall’’Economist’: «Il governo tecnico lo abbiamo già avuto più volte, era quello che tirava su le tasse, noi le tasse le abbiamo tirate giù». Ha messo l’incognita, terrore di contribuenti e pensionandi, al centro della campagna elettorale: «Il governo tecnico non lo posso scongiurare io, lo dovete scongiurare voi con il Sì. Il rischio c’è, è evidente».
Le opposizioni e parte della sinistra del Pd, sostenitrici del No al referendum, viaggiano in ordine sparso tuttavia stroncano nella stesso modo l’idea di un esecutivo tecnico. Beppe Grillo (M5S) chiede immediate elezioni politiche anticipate dopo l’affermazione del No alle urne, Matteo Salvini (Lega Nord) è su analoghe posizioni. Silvio Berlusconi, sostituito nel 2011 alla presidenza del Consiglio dal tecnico Monti, dà battaglia in favore del No e lancia un messaggio a Renzi per una futura intesa: «È indispensabile sedersi al tavolo per fare una nuova riforma e una nuova legge elettorale» dopo la bocciatura della legge costituzionale del governo. Il presidente di Forza Italia ha anche indicato le modifiche da fare all’Italicum, la legge elettorale per le politiche: «Bisogna togliere il ballottaggio, fare il proporzionale che porterà a un governo che rappresenta la maggioranza degli italiani».
Anche la parte della sinistra del Pd in favore del No è contro il governo tecnico. Pier Luigi Bersani non vuole sfrattare il presidente del Consiglio: «Se vince il No per me Renzi può anche restare a Palazzo Chigi magari un po’ acciaccatino». L’ex segretario del Pd ha rivolto una raccomandazione alla maggioranza renziana: «Io non ho problemi, basta che stiano meno chiusi, meno comandini, meno arroganti».
In Italia da mesi è in corso un lacerante scontro sul referendum confermativo della riforma costituzionale del governo. Accuse e toni sono stati durissimi. Sono partiti anche degli insulti. Renzi ha definito una “accozzaglia” il variegato fronte del No, Grillo ha indicato il presidente del Consiglio come “una scrofa ferita”. Più che sui contenuti della riforma (superamento del bicameralismo paritario, concentrazione del potere legislativo nella Camera, riduzione delle funzioni e del numero dei senatori) si voterà sulla sorte del presidente del Consiglio, del suo esecutivo e delle riforme strutturali realizzate (o annunciate) in quasi tre anni di navigazione. Di fatto il referendum si è trasformato in anomale elezioni politiche.
I sondaggi elettorali continuerebbero a dare la vittoria del No al referendum, tuttavia gli indecisi sono tanti e le sorprese sono sempre possibili. I sondaggi nelle elezioni per il presidente degli Stati Uniti d’America attribuivano il successo a Hillary Clinton e invece l’ha spuntata Donald Trump. Sempre i sondaggi sostenevano che i cittadini britannici nel referendum avrebbero votato per restare nell’Unione Europea, invece ha vinto la scelta dell’addio. E l’’Economist’ sbagliò sempre: era in favore della Clinton e perché Londra restasse nella Ue.
Se prevarrà il Sì Renzi resterà in sella e sarà più forte per il voto popolare, se vincerà il No probabilmente il presidente del Consiglio si dimetterà e la palla su cosa fare passerà al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ma è quasi impossibile la nascita di un governo tecnico perché Renzi, contando sui numeri parlamentari (soprattutto alla Camera il Pd è nettamente preponderante), si opporrà a questa scelta. Contrari saranno anche Grillo, Berlusconi, Salvini, Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Nichi Vendola e Stefano Fassina (Sinistra Italiana). Mattarella dovrebbe pensare ad altre soluzioni.
Se Mattarella constatasse l’esistenza di una maggioranza in Parlamento per cambiare l’Italicum e poi andare alle urne per le elezioni politiche, potrebbe nascere un nuovo governo politico. Potrebbe essere presieduto dallo stesso Renzi o da un renziano (il ministro dell’Economia Padoan?). È difficile che l’incarico di presidente del Consiglio possa andare a personalità esterne al Pd o istituzionali (il presidente del Senato Grasso?), a meno di un tracollo del Sì rispetto al No nel referendum.