ANKARA – Nuova ondata di epurazioni in Turchia. Le autorità, con due decreti emessi nel quadro dello stato di emergenza proclamato dopo il tentato golpe del 15 luglio scorso, hanno stabilito il licenziamento di 9.977 appartenenti alle forze di sicurezza e di oltre cinquemila dipendenti pubblici accusati di legami con “organizzazioni terroristiche”.
Secondo quanto si legge sul sito di Hurriyet, tra gli epurati figurano 1.988 soldati (1.259 delle forze di terra, 391 della Marina e 338 dell’Aviazione militare), 7.586 agenti di polizia e 403 uomini della gendarmeria. Stando ai decreti pubblicati sulla gazzetta ufficiale, sono stati chiusi, inoltre, almeno nove organi di stampa, 550 ong e 19 centri medici privati. Sono state reintegrati, invece, 157 dipendenti pubblici precedentemente licenziati e rivelatesi estranei alle accuse che gli erano state mosse. Parallelamente ai due decreti – ha riferito una fonte della sicurezza citata dall’agenzia di stampa Anadolu – le autorità hanno spiccato 60 mandati di cattura in 19 province del Paese per altrettanti appartenenti all’Aviazione militare, tra cui figurano anche dei piloti. I sospetti sono accusati di legami con la rete del predicatore turco, Fethullah Gulen, ritenuto dal governo la ‘mente’ del fallito colpo di Stato.
Finora in Turchia circa 110mila tra militari, dipendenti pubblici e della magistratura sono stati licenziati o sospesi dal lavoro per presunti legami con la rete di Gulen. Altre 36mila persone sono in carcere in attesa di processo. Il predicatore, che vive in auto-esilio in Pennsylvania dal 1999, ha sempre negato le accuse e condannato il golpe. Ankara ne ha chiesto a più riprese l’estradizione dagli Stati Uniti e ora teme possa fuggire in Canada. Oltre alle purghe contro i sospetti sostenitori di Gulen, le autorità turche hanno intensificato le operazioni di sicurezza anche contro le istituzioni e i partiti accusati di legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica.