Il clan dei Casalesi, prima che tutti i suoi capi storici fossero catturati, ha fatto in tempo a mettere radici in buona parte della Campania. Alleanze, spesso storiche, scambi di favori, affari in comune con le famiglie più importanti di Napoli e provincia ma anche con quelle di Salerno e provincia. Agli uomini di Zagaria, Iovine, Bidognetti e Schiavone non interessava però conquistare territori ma aree di influenza, poter fare soldi, reinvestire capitali, conquistare appalti. Le inchieste e gli arresti degli ultimi tre anni dicono che lo sbarco è avvenuto in grande stile in particolare a Battipaglia e a Scafati. Ma interessi delle cosche che fanno parte del cartello sono segnalati praticamente in tutta la provincia, dal Cilento all’agro Nocerino Sarnese, passando per la città capoluogo.
Ma sbaglia chi crede che sia tutto è accaduto manu militari, cioè con ambasciatori armati fino ai denti. La politica di conquista nel salernitano l’hanno condotta contando su solidi appoggi politici, soprattutto uomini di Forza Italia, ma non solo. E mandando in avanscoperta affaristi e imprenditori: almeno fin dove non hanno finito col guardarsi dritto negli occhi con la ‘ndrangheta, cioè nel Vallo di Diano. Ma la gran parte del lavoro di penetrazione l’hanno fatto professionisti legati a filo doppio con i boss: ingegneri, architetti, commercialisti e avvocati, funzionari pubblici di alto rango e dirigenti di istituti di credito. Così a Scafati a guardare l’elenco dei direttori dei lavori nel cantiere di un’opera pubblica poteva capitare di trovare l’architetto Carmine Domenico Nocera, l’uomo che aveva curato in tutto e per tutto la realizzazione del covo bunker del padrino Michele Zagaria.
I colletti bianchi sono la carta vincente dei casalesi, quella su cui puntare per sopravvivere a se stessi e alla guerra con lo Stato. Dicembre 2011. È stato appena catturato Michele Zagaria, indicato come l’ultimo dei grandi capi del cartello dei Casalesi ancora in libertà, ma Federico Cafiero de Raho, allora procuratore aggiunto a Napoli, sa che non ci si può fermare. Così va dritto al punto: “Dovremo anche concentrarci su quella zona grigia composta da insospettabili che hanno consentito ai Casalesi di fare il grande salto di qualità, diventando camorra imprenditrice. Mi riferisco a quella ‘borghesia mafiosa’ che oggi è il vero nemico, sia nostro che di tutta la società”. Cafiero de Raho indica un pericolo non meno grande: usa il termine borghesia mafiosa, parla addirittura della necessità di un’opera di bonifica sociale. Dice in sostanza il procuratore: sbaglia chi pensa che il più è fatto.
Ma cosa intende il procuratore per borghesia mafiosa? Non parla solo dei tantissimi politici e imprenditori che hanno stretto accordi o sono stati letteralmente arruolati dai clan. Del resto sono già molti quelli che affollano le carceri o siedono nelle aule di un tribunale sul banco degli imputati. Il procuratore pensa a quella rete fatta di alcune figure che compaiono in vicende criminali e spesso appaiono secondarie ma non lo sono. A volta vittime, spesso complici, finiscono per formare il tessuto connettivo che asseconda, aiuta, sostiene l’azione quotidiana e i progetti criminali del cartello di clan dei Casalesi e di altre cosche del casertano. Esaminando le storie di ognuno, ci si imbatte in persone che non hanno saputo opporre un no alle richieste di prestanome o rappresentanti, più o meno ripuliti, degli Schiavone, degli Iovine, degli Zagaria e dei Bidognetti, ma anche dei Belforte e dei La Torre, per fare i nomi delle famiglie di camorra casertane di maggior rilievo. Personaggi disponibili: che si trattasse di costruire un bunker, di riciclare danaro, di ottenere notizie riservate, di modificare una decisione, il percorso di una pratica o di una gara d’appalto. O ancora di falsificare una perizia o un certificato medico. Basta pensare alla storia di Michele Santonastaso, ex avvocato di Francesco Bidognetti , boss dei Casalesi arrestato dalla Dia di Napoli nel settembre 2010, per le accuse di corruzione, falsa perizia e concorso in falsa testimonianza, e per aver di volta in volta agevolato proprio Bidognetti, il clan Cimmino ed il clan La Torre.
Santonastaso l’anno successivo era stato arrestato dai carabinieri di Caserta per associazione a delinquere di stampo camorristico, corruzione in atti giudiziari, induzione a non rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria e poi condannato a un anno di reclusione con l’accusa di aver minacciato magistrati e giornalisti. E proprio Zagaria, secondo gli investigatori della Dia di Napoli, era riuscito, con i suoi uomini, a controllare il tessuto politico-amministrativo dell’Ospedale di Caserta al punto da pilotare appalti per milioni di euro. Un’operazione che sarebbe stata impossibile se non avesse potuto contare sulla complicità non solo di politici ma anche di un buon numero di professionisti. Un fenomeno di dimensioni macroscopiche che ha indotto alcuni ordini professionali ad avviare una discussione, per quanto spesso timida e formale sulla possibilità di adottare contromisure. Un tentativo che ha attirato l’attenzione di Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, a lungo sostituto procuratore della Repubblica alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. “È emersa in modo evidente, negli ultimi tempi, sia la capacità delle organizzazioni camorristiche e mafiose di essere presente nelle varie professioni che il corrispondente tentativo degli ordini professionali di far fronte in qualche modo alle infiltrazioni criminali, soprattutto perché in ambito provinciale essi svolgono un ruolo sociale fondamentale. C’è chi ha proposto un’antimafia degli ordini, e va bene. Ma dobbiamo anche dirla tutta e ricordarci cosa spesso sono diventati gli ordini professionali. Se omettiamo questa parte facciamo un’operazione di non verità”. Cantone invita al realismo e fa un esempio: “Non è possibile che un professionista radiato, ad esempio, dall’ordine di Palermo possa poi iscriversi all’albo di una provincia calabrese e continuare così ad esercitare. Per fare un’antimafia degli ordini dobbiamo quanto meno creare dei meccanismi disciplinari identici e caratterizzati da autonomia”. Dal 2010 in poi molte inchieste hanno rivelato infatti che ad orientare le scelte strategiche dei clan sono state spesso proprio figure professionali, sedute al tavolo al quale si prendono le decisioni. Diventando determinanti. All’occorrenza pronti anche ad entrare in politica, o a gestire nuove iniziative imprenditoriali, impegnandosi a renderle più impermeabili alle indagini.
Figure che entrano così a far parte di un circuito: compongono una borghesia che vive in un’area grigia o decisamente sul terreno della devianza. Quello della borghesia camorrista. Tutto questo è accaduto e accade in provincia di Caserta, 104 comuni, poco meno di un milione di abitanti. È quello che sappiamo. Anche se, forse, manca una reale e diffusa consapevolezza delle dimensioni e della gravità di quanto è emerso. Ma se questo è il quadro di quanto avviene in provincia di Caserta, cosa succede nella vicina provincia di Napoli, oggi Città metropolitana, più di tre milioni di abitanti in 92 comuni, con i suoi 115 clan di cui 50 solo nel capoluogo?
Le vicende criminali del napoletano si intrecciano assai spesso, e da sempre, con quelle della provincia di Caserta. Non solo per patti di non belligeranza, scontri o alleanze, ma anche per veri e propri accordi operativi, compartecipazioni, consorzi nelle attività illegali e in affari che sono solo in apparenza legali.
Così molto spesso è accaduto di veder comparire la borghesia criminale della provincia di Caserta, non solo in vicende della camorra casalese ma anche in quelle dei clan della provincia di Napoli. Il clan Mallardo di Giugliano, per fare solo un esempio. Quando si tratta di affari non esistono linee di confine, di nessun genere. Ma dicevamo questo è solo un esempio. Se ne potrebbero fare tanti. Come sono tantissimi i casi in cui appartenenti a categorie professionali o ad alcuni salotti buoni della borghesia napoletana sono comparsi in storie di camorra. Nel ruolo di comprimari o protagonisti assoluti.
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