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Turchia, altri tre mesi di stato d’emergenza: l’appello di 26 Ong

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In occasione del terzo mese dallo stato d’emergenza, proclamato nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2016, 26 organizzazioni per i diritti umani (*) hanno rivolto un appello al governo della Turchia affinché le misure adottate a seguito dello stato d’emergenza siano revocate. Questo è il testo dell’appello: “Riconosciamo che il governo turco ha il diritto e la responsabilità di indagare sulle violenze occorse durante il tentativo di colpo di stato di luglio e di portare gli autori di fronte alla giustizia. Riconosciamo inoltre che il periodo successivo è di quel genere di circostanze eccezionali in cui un governo può legittimamente invocare lo stato d’emergenza. Ma nondimeno deve rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani.

Siamo sempre più preoccupati in quanto gli ampi e pressoché illimitati poteri discrezionali esercitati dalle autorità turche nei primi tre mesi dello stato d’emergenza, ora rinnovato per altri tre mesi, mettono in pericolo lo stato di diritto e le garanzie in materia di diritti umani.
Chiediamo pertanto al governo turco di revocare le misure adottate sotto lo stato d’emergenza, la cui applicazione è incompatibile con gli obblighi della Turchia in materia di diritti umani.
Durante i primi tre mesi dello stato d’emergenza, le autorità turche hanno usato le misure d’emergenza per stroncare il dissenso, attraverso l’arresto di numerosissime persone, tra cui reali o percepite voci critiche nei confronti del governo. L’annullamento delle garanzie sull’equità dei processi e delle salvaguardie contro la tortura e gli altri maltrattamenti eccede le deroghe permesse e giustificate e rischia di violare la proibizione assoluta della tortura e dei trattamenti crudeli, inumani e degradanti. In concreto, l’applicazione di tali misure ha permesso di eseguire arresti anche in assenza di prove attendibili e di impedire di ricorrere o chiedere un risarcimento per le violazioni dei diritti umani subite.

Alla luce di ciò, l’estensione dello stato d’emergenza e delle misure associate per altri 90 giorni a partire dal 19 ottobre è estremamente allarmante. Chiediamo, come minimo, che il governo riduca la portata di tali misure revocando quelle che consentono violazioni dei diritti umani e che non sono in linea con gli obblighi internazionali della Turchia in materia di diritti umani.
Sollecitiamo inoltre i partner internazionali della Turchia, in particolare l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e gli organismi internazionali sui diritti umani a condannare pubblicamente e inequivocabilmente le violazioni dei diritti umani legate allo stato d’emergenza. Questi partner e organismi dovrebbero chiedere al governo turco di revocare tutte le misure che consentono violazioni dei diritti umani e di annullare lo stato d’emergenza a meno che le autorità non siano in grado di dimostrare che la situazione interna continua a minacciare la vita della nazione.

L’annullamento delle garanzie contro la tortura e gli altri maltrattamenti
Dopo il fallito colpo di stato, le autorità turche hanno posto in detenzione preventiva 34.000 persone: soldati, funzionari statali, agenti di polizia, giudici, magistrati, giornalisti, insegnanti e altri ancora. Sono state aperte indagini su 70.000 persone. Numerose disposizioni contenute nei decreti dello stato d’emergenza hanno sospeso garanzie fondamentali per la protezione dei detenuti dalla tortura e dagli altri maltrattamenti in un modo che viola gli obblighi internazionali della Turchia e pone i detenuti in pericolo. Tra queste disposizioni segnaliamo l’estensione da quattro a 30 giorni della detenzione in custodia di polizia per reati di terrorismo e di criminalità organizzata, senza possibilità di revisione giudiziaria; il diniego, fino a cinque giorni, del diritto di un detenuto di vedere il suo avvocato e forti limitazioni al diritto di nominare un avvocato durante la detenzione in custodia di polizia; e l’interferenza nelle comunicazioni riservate tra detenuti e avvocati, attraverso la presenza di altre persone e la registrazione dei colloqui su richiesta del magistrato.
Nella prassi, quelle garanzie sono state compromesse in modo eccessivo rispetto persino a quanto permesso dai decreti dello stato d’emergenza. Diverse organizzazioni non governative, compresa Amnesty International, hanno raccolto prove attendibili sulle torture, i pestaggi e anche gli stupri subiti dai detenuti.

L’uso dello stato d’emergenza per ridurre al silenzio le critiche
Le disposizioni contenute nei decreti dello stato d’emergenza hanno colpito l’esercito del diritto alla libertà d’espressione e sono state usate per favorire minacce e arresti nei confronti di giornalisti, scrittori e altri operatori dell’informazione.
Queste disposizioni hanno aumentato il potere di chiudere organi d’informazione, imporre il coprifuoco, vietare incontri pubblici e riunioni, limitare l’accesso agli spazi pubblici e privati e annullare o confiscare i passaporti delle persone sotto indagine e, dal 1° settembre, anche dei loro coniugi o partner.
Le restrizioni imposte sulla base dello stato d’emergenza eccedono quanto prevede il diritto internazionale dei diritti umani, come nel caso delle ingiustificabili limitazioni alla libertà di stampa e al diritto alla libertà d’espressione.

Nei primi due mesi e mezzo dello stato d’emergenza, le autorità hanno chiuso circa 150 organi d’informazione e case editrici, causando la perdita del lavoro a oltre 2300 persone. Almeno 99 giornalisti e scrittori sono stati arrestati, facendo salire ad almeno 130 il numero degli operatori dei media arrestati per ragioni riconducibili alla loro attività professionale. Questo numero non comprende i giornalisti arrestati e poi rilasciati e quelli che si trovano provvisoriamente in custodia di polizia. Le disposizioni dello stato d’emergenza sono state usate anche per minacciare familiari di giornalisti fuggiti all’estero o entrati in clandestinità, attraverso l’annullamento dei loro passaporto o il loro arresto al posto del parente ricercato.
Queste misure contro i giornalisti e gli altri operatori dell’informazione ostacolano il diritto della popolazione turca di ricevere informazioni su quanto sta accadendo nel paese e di chiamare il governo a risponderne.
In conclusione, il governo della Turchia dovrebbe garantire che lo stato d’emergenza e i relativi decreti non siano usati per facilitare gravi violazioni dei diritti umani e ridurre al silenzio il dissenso. I partner internazionali della Turchia non dovrebbero ignorare le gravi violazioni dei diritti umani commesse nel contesto dello stato d’emergenza e dovrebbero chiedere con urgenza alla Turchia di abrogare o emendare le disposizioni dello stato d’emergenza che non sono in linea con gli obblighi internazionali del paese in materia di diritti umani.”

(*) Article 19, Amnesty International, Human Rights Watch, PEN International, Association of European Journalists, Canadian Journalists for Free Expression, Committee to Protect Journalists, Danish PEN, English PEN, Ethical Journalism Network, European Centre for Press and Media Freedom, European Federation of Journalists, Fair Trials, German PEN, Global Editors Network, Index on Censorship, International Media Support, International Press Institute, IREX Europe, My Media, Norwegian PEN, Norwegian Press Association, PEN America, Reporter senza frontiere, Swedish PEN e Wales PEN Cymru.


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