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Turchia: la Fnsi con magistrati e avvocati contro la repressione. Giulietti: «L’Italia dice no al bavaglio»

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Illuminare la situazione in Turchia dove migliaia di magistrati, avvocati, giornalisti, docenti e impiegati pubblici sono stati arrestati dopo il tentativo di colpo di stato dello scorso 15 luglio. Questo l’obiettivo della manifestazione organizzata al Palazzaccio da magistrati, avvocati e giornalisti italiani.
Tenere accesi i riflettori su quanto sta accadendo in Turchia dove migliaia di magistrati, avvocati, giornalisti, docenti e impiegati pubblici sono stati arrestati dopo il tentativo di colpo di stato dello scorso 15 luglio. Questo l’obiettivo della manifestazione organizzata a Roma da magistrati, avvocati e giornalisti italiani che prima hanno dato via ad un sit-in all’ingresso della Corte di Cassazione e poi hanno animato un momento di riflessione alla biblioteca della procura generale.

A organizzare l’evento, i magistrati di Area del distretto di Roma, assieme alla Camera penale della Capitale e alla Fnsi. «È una iniziativa straordinaria – ha detto il presidente Giulietti – non ricordo una manifestazione in cui fossero riuntiti magistrati, giornalisti, avvocati e cittadini: l’Italia dice no al bavaglio».

Preoccupazione per i diritti umani calpestati in Turchia è stata espressa dall’avvocato Francesco Tagliaferri, presidente della Camera penale di Roma: «Nel 2013 arrestarono degli avvocati solo perché facevano il loro mestiere, oggi il fenomeno si è esteso a giornalisti e magistrati. La Turchia è candidata ad entrare in Europa, dovrebbe condividere i principi che presidiano la democrazia».

All’iniziativa erano presenti, tra gli altri, anche il segretario dell’Associazione nazionale magistrati Francesco Minisci, il pm Eugenio Albamonte, rappresentante di Area nel direttivo del sindacato delle toghe, Elisa Marincola, portavoce di Articolo21, e i giornalisti del gruppo Nobavaglio.

«Nella nostra generazione – ha detto il primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio – abbiamo vissuto la Grecia dei colonnelli, il Cile di Pinochet, la tragedia argentina. Ora in Turchia come reazione al colpo di stato è stata scelta l’epurazione di massa: oggi si assiste a un’indignazione “tweet”. Ci si salva l’anima con una mail, un documento inviato alle mailing list, invece bisogna fare domande e pretendere risposte: quante sono e dove sono queste persone? Quali le prove a loro carico? Da chi saranno giudicate? Risulta che tra loro ci sono stati già dei suicidi, un giudice è arrivato su un barcone a Catania. Su queste cose non si può transigere: dobbiamo chiedere la creazione di osservatori permanenti, e che la sospensione della Convenzione dei diritti umani cessi, sta durando fin troppo».

Anche il procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi, ha ribadito l’allarme per quanto sta avvenendo sulle sponde del Bosforo: «Sono stati colpiti giornalisti, avvocati e magistrati e questo non può che allarmare tutti noi». Mentre Elisa Marincola ha ricordato che Erdogan sta imbavagliando anche le piccole televisioni curde che trasmettono in Europa annullando i contratti del segnale satellitare, «cancellando così la libera informazione e mettendo al contempo a rischio la stessa cultura del popolo curdo».


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