La Vigilanza approva le regole sulla par condicio. Carlo Smuraglia nuovamente manganellato dal Pd
Di Pino Salerno
Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, ha presentato, insieme alla professoressa Barbara Randazzo, due ricorsi, uno al Tar del Lazio e uno al tribunale civile di Milano, con cui in sostanza impugna il quesito referendario. La motivazione centrale riguarda il fatto che in un unico quesito vengono sottoposti all’elettore una pluralità di oggetti eterogenei. Nei ricorsi si chiede il rinvio della questione alla Corte Costituzionale. I ricorsi sono stati depositati questa mattina. I ricorrenti agiscono in qualità di cittadini-elettori. L’azione arriva dopo quella promossa al Tar da M5s e Sinistra Italiana, ma a differenza di quella, che ha una portata soprattutto politica, questa porta la firma di uno dei più noti giuristi italiani. Nel ricorso al tribunale di Milano si chiede di accertare, in via d’urgenza, il diritto dei ricorrenti a votare al referendum costituzionale “su quesiti non eterogenei, a tutela della loro libertà di voto”. Il ricorso al Tar, che fa leva anch’esso sul diritto di voto “in piena libertà, come richiesto dagli articoli 1 e 48 della Costituzione”, “è rivolto contro il decreto di indizione del referendum medesimo, in quanto ha recato la formulazione di un unico quesito, suscettibile di un’unica risposta affermativa o negativa, pur essendo il contenuto della legge sottoposta al voto plurimo ed eterogeneo”.
La richiesta di annullamento, previa sospensione del decreto di indizione del referendum
Per questo si chiede l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica di indizione del referendum e di “ogni altro atto preliminare, connesso o conseguenziale”. Il ricorso ricorda inoltre come “i necessari caratteri di omogeneità” del quesito referendario siano “gli stessi richiesti secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa al referendum abrogativo”. “La qualifica di referendum ‘confermativo’ utilizzata nel decreto impugnato (ancorché venga talora usata nel linguaggio corrente) – sottolinea il ricorso – non trova alcun riscontro nella legge n. 352 del 1970” che disciplina i referendum “e non riflette la ratio del ricorso al referendum ‘oppositivo’ nel caso delle leggi costituzionali, ratio che è quella di garantire le minoranze nel caso di approvazione parlamentare della legge con una maggioranza inferiore ai due terzi”.
La delibera sulla par condicio in Rai approvata dalla Commissione parlamentare di vigilanza
Approvata, intanto, la delibera sulla par condicio. Lo rende noto su Facebook il presidente della commissione di Vigilanza, Roberto Fico (M5s). “Oggi in Commissione di Vigilanza abbiamo approvato la delibera che regolamenta la par condicio nei programmi Rai in vista del Referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Cosa prevede il regolamento e come funziona la par condicio per la campagna referendaria: in tutte le trasmissioni che trattano il tema del Referendum gli spazi sono ripartiti in due parti uguali tra i favorevoli e i contrari al quesito. Nei programmi di comunicazione politica (tribune, interviste, confronti) la parità è matematica, ma anche nei programmi d’informazione, come i tg, non può essere in alcun modo determinata una situazione di vantaggio per una delle due posizioni. Alle trasmissioni sul Referendum partecipano il comitato promotore, le forze politiche, anche quelle rappresentative delle minoranze linguistiche, e tutti i comitati e associazioni della società civile che abbiano un interesse obiettivo e specifico sul tema. La presenza degli esponenti del Governo nei tg deve essere limitata all’attività istituzionale per garantire completezza e imparzialità dell’informazione. La delibera della Vigilanza richiama infatti il limite contenuto nella legge 515 del 1993, secondo il quale, come ha ripetuto più volte l’Agcom, l’informazione sul Governo deve limitarsi a obiettive esigenze informative legate all’attività dell’esecutivo, senza dare spazio alla propaganda elettorale. Fino al 4 dicembre la Rai pubblicherà quotidianamente sul proprio sito internet i dati del monitoraggio dei tempi fruiti dai favorevoli e contrari al quesito. L’azienda è chiamata a garantire un efficace e tempestivo riequilibrio di eventuali situazioni di disparità. I dati ufficiali, su cui possono essere irrogate eventuali sanzioni, sono comunque quelli pubblicati dall’Agcom ogni due settimane, e poi ogni settimana a partire dalla terzultima precedente il voto. Le tribune referendarie si svolgeranno a partire da novembre; i confronti a due si terranno nella fase finale della campagna. La Rai deve garantire trasmissioni e pagine televideo ad hoc sul Referendum per le persone con disabilità”.
Il commento di Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sinistra Italiana
“Oggi la Commissione parlamentare vigilanza ha approvato il regolamento sulla par condicio. Finalmente un po’ di regole per una situazione di occupazione selvaggia degli spazi radio tv”, scrive in una nota Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e membro della commissione di Vigilanza. “Adesso chiediamo ufficialmente alla Rai di ritirare lo spot ingannevole che sta andando in onda e a Renzi di darsi una regolata. Il servizio pubblico radiotelevisivo non è l’ufficio stampa di palazzo Chigi e della sua maggioranza”, conclude Fratoianni.
Smuraglia invita i sindaci, del sì e del no, alla sobrietà? Per Serracchiani e Ricci, esponenti di spicco del Pd, è da censurare. Pazzesco!
Il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia, ospite negli studi di Radio Popolare per parlare del referendum costituzionale, ha criticato con saggezza l’iniziativa dei sindaci favorevoli alla riforma, che si sono dati appuntamento a Roma per una manifestazione il prossimo 27 ottobre. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha annunciato che ci sarà. E a questo punto, è partita la sacrosanta indignazione del presidente nazionale dell’Anpi: “Nella mia concezione il sindaco rappresenta tutti i cittadini – ha commentato Smuraglia – E certamente con questo non perde il diritto di votare come gli pare, e anche di dirlo. Ma trovo improprio che si organizzi una manifestazione dei sindaci per il Sì (e sarebbe stato lo stesso se fossero stati per il No) perché una parte dei cittadini in quel momento non si sentirà rappresentata” ha aggiunto il presidente dell’Anpi. “Non voglio dire a Giuseppe Sala cosa deve fare, ma se andrà il 27 ottobre a Roma a quella manifestazione una parte di milanesi – a partire dal sottoscritto – quel giorno dirà che oggi sono senza sindaco”. Smuraglia ribadisce che, ovviamente, non fa riferimento alla libertà di voto e al diritto di espressione del voto da parte dei sindaci, ma mette giustamente in discussione la loro mobilitazione per la campagna referendaria e l’uso strumentale che eventualmente se ne possa fare. E ciò, dice argutamente Smuraglia, vale per chiunque sia sindaco e per qualunque posizione si sia espresso. Nonostante questo chiarissimo pensiero, è subito scattata, come una molla, l’opera censoria dei massimi dirigenti del Pd contro Smuraglia. Hanno creduto che Smuraglia volesse censurare i sindaci, nel loro diritto di espressione.
Le parole offensive della Serracchiani, vicesegretaria nazionale…
La vicesegretaria Serracchiani in un comunicato stampa molto duro afferma: “appare incomprensibile che Smuraglia ‘conceda’ ai sindaci il diritto di votare secondo coscienza e di manifestare le loro convinzioni ma non ammetta che gli stessi sindaci possano farlo in gruppo e in piazza. Quanti hanno la massima responsabilità di guida dei Comuni sono qualificati per giudicare le riforme e per esprimersi sul nuovo assetto costituzionale: il loro parere dovrebbe essere sollecitato, non silenziato”. “Che il vertice nazionale dell’Anpi abbia nuovamente voluto inserirsi in un modo così pesante e oggettivamente di parte nel dibattito referendario purtroppo – conclude Serracchiani – non aiuta la serenità del confronto”. Perbacco, che lezione di civiltà politica al povero Smuraglia. Ma il neoresponsabile degli Enti locali del Pd azzanna Smuraglia ancora più gravemente: “E’ incredibile pensare che i sindaci non possano esprimere le proprie opinioni politiche. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero è sancito dalla Costituzione”.
…e di Matteo Ricci, responsabile Enti locali
Matteo Ricci, evidentemente, è stato male informato, oppure non ha ascoltato le parole del presidente Smuraglia. Ma vi pare che il presidente dell’Anpi possa permettersi il lusso (che altri possiedono in larga misura) di censurare chiunque, e a maggior ragione un sindaco? Ha solo cercato di consigliare maggiore sobrietà nell’espressione pubblica del voto. Tutto qui. Ma ecco come lo stesso Ricci sfrutta la presunta censura di Smuraglia: “Per ciò che riguarda i sindaci del Pd saranno in prima linea nella campagna per il sì. E saranno fondamentali per spiegare nel merito la riforma, uscendo dal mero scontro politico che spesso anima i fautori del no”. Strano modo di considerare le cose di questo referendum: accade ormai spesso il ribaltamento della verità a cura di esponenti del Pd. A noi risulta che sia stato il loro leader a usare la riforma come “mero scontro politico”, salvo ammettere di aver sbagliato. A noi risulta che Smuraglia sia stato preso di mira più e più volte in rozzi articoli di rozzi articolisti del sì, purtroppo su un quotidiano che abbiamo molto amato negli anni scorsi.
La solidarietà a Smuraglia del capogruppo di Sinistra Italiana Arturo Scotto
Forte e condivisibile il richiamo al senso di responsabilità di Arturo Scotto, rimasto basito dalle parole di Serracchiani e Ricci contro Smuraglia. “Le reazioni stizzite di esponenti Pd, Ricci oggi e Serracchiani ieri, sulle parole di Smuraglia a proposito delle manifestazioni dei sindaci a favore del Si sono incomprensibili”, afferma Arturo Scotto capogruppo dei deputati di Sinistra Italiana. “La saggezza del Presidente dell’Anpi – prosegue Scotto – dovrebbe essere ascoltata: non si possono piegare le istituzioni, le comunità locali e la vita delle città a una campagna di parte, che divide il paese e che sembra segnata da pure pulsioni elettoralistiche”. “Dopo il 4 dicembre e la sconfitta del disegno renziano – conclude Scotto – c’è un Paese che rimane in piedi e la frattura alimentata da Renzi non può coinvolgere anche chi rappresenta i comuni”.