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Nuova ondata di repressione in Turchia, centinaia di arresti e chiuse oltre 20 tra radio e tv curde

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Una nuova ondata di repressione in Turchia ha anticipato la proroga dello
stato di emergenza imposto dal governo di Recep Tayyip Erdogan all’indomani del fallito golpe del 15 luglio.
Dopo gli oltre 80 arresti di giornalisti, la chiusura di giornali, siti ed emittenti radiofoniche e televisive, le autorità turche hanno sospeso le trasmissioni di dieci canali tv e dodici radio curde perché ritenute pericolose per la sicurezza nazionale.
Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa governativa “Anadolu”, il provvedimento è scattato in base ad un decreto che rientra nelle misure adottate dopo il tentativo di colpo di stato.
La maggioranza delle televisioni oscurate sono in lingua curda, come “Azadi” e “Jiyan”, e tra di esse c’è anche un format per bambini, “Zarok”, che dalla notte del 28 è stato chiuso anche sulla piattaforma satellitare Turksat.
Quattro dei canali trasmettevano interamente in curdo, tre in turco e gli altri in entrambe le lingue.
Tra i primi a darne notizia il giornalista Murat Cinar, nato a Istanbul ma da anni in
Italia, che attraverso il suo account Twitter ha lanciato un appello alla mobilitazione contro il bavaglio turco.
Ma non è solo la stampa ad essere ancora sotto attacco.
Dopo le decine di migliaia di arresti dei mesi scorsi il regime dell’Akp ha disposto a metà settembre il commissariamento di 28 città, di cui ben 24 governate da sindaci legati al partito democratico curdo, quarta forza nazionale.
Di fatto è stato un vero e proprio golpe, con l’occupazione militare dei comuni e l’arresto di esponenti politici.
Queste ultime azioni repressive sono il primo segnale del prolungamento dello stato d’emergenza in Turchia, proposto in forma di “raccomandazione” nel corso della riunione del Consiglio di sicurezza nazionale presieduto da Erdogan giovedì scorso. Una decisione definita necessaria per proseguire in modo “efficiente le azioni mirate alla protezione dei diritti e delle libertà dei cittadini”,
Nel corso del vertice governativo il presidente, per giustificare l’esigenza di protrarre la misura restrittiva, ha parlato della Francia dove “è in atto lo stato d’emergenza da un anno senza che nessuno trovi qualcosa da ridire”. Un modo per ribadire che nessuno può e deve mettere in dubbio che si tratti di una decisione assunta “per il bene della Turchia” come ha sottolineato Erdogan ammonendo che potrebbero non essere sufficienti nemmeno i 12 mesi di proroga che si augura siano concessi dall’esecutivo.
L’ultima, ma scontata parola, passa dunque al Consiglio dei ministri al quale è indirizzata la “raccomandazione” del MGK e del presidente la cui volontà, nonostante la carica politica essenzialmente rappresentativa, è da tempo ben lungi dall’essere messa in discussione.
A supportare il prolungamento dello stato d’emergenza alcuni opinionisti che hanno trovato spazio su media pro-governo, esperti di questioni militari che ritengono ancora non scongiurata l’ipotesi di un nuovo tentativo di colpo di stato.
Di parere opposto l’analisi dell’avvocato per i diritti umani Efkan Bolac secondo cui si tratta di speculazioni messe in circolazione da ambienti governativi.
“Spargendo queste voci il governo sogna di rendere permanente il regime dello stato d’emergenza” ha affermato Efkan senza timore di ritorsioni.
Nel corso degli ultimi due mesi, grazie alla condizione dalle restrizioni post golpe, il governo turco ha approvato otto decreti legge validi solo per la durata effettiva
della misura straordinaria.
Questi provvedimenti hanno portato alla ‘purga’ di migliaia di dipendenti e amministratori pubblici e statali, alla chiusura di numerose scuole e università nonché di decine di media. Tutti accusati di avere legami con una delle organizzazioni contro le quali Ankara sta conducendo una strenua lotta, FETO considerata un’organizzazione terroristica ispirata a Fethullah Gulen, considerato la mente del tentativo di detronizzare di Erdogan.
L’ex imam in esilio volontario negli Stati Uniti è accusato dalla leadership turca, che ne ha chiesto l’estradizione, di aver ordito il golpe. Su di lui pendono già due ergastoli.
Nel frattempo in prigione sono finiti migliaia di sostenitori, o anche solo sospettati di esserlo, di Gulen.
Secondo gli ultimi dati a disposizione delle organizzazioni per i diritti umani si trovano attualmente in stato di detenzione 32mila persone, tra cui figurano almeno 120 tra
scrittori e giornalisti.
È in atto, come denunciato dall’opposizione, una vera e propria caccia alle streghe volta ad eliminare ogni voce critica nei confronti delle scelte di Ankara.
La Procura di Istanbul anche oggi ha emesso mandati d’arresto, questa volta nei confronti di 87 dipendenti dell’amministrazione giudiziaria.
La polizia ha condotto perquisizioni nelle corti di Istanbul, Buyukcekmece e Gaziosmanpasa, dove lavorano i cancellieri inquisiti, e nelle prigioni di Silivri, Tetris e Bakirkoy e in altri centri di detenzione dove sono state arrestare 75 guardie carcerarie.
Migliaia di dipendenti pubblici negli ultimi due mesi sono stati inoltre licenziati e sospesi per i loro presunti collegamenti con il movimento di Gulen.
Complessivamente oltre 50mila persone, fra giudici, funzionari pubblici, e insegnanti sono stati rimossi dai loro incarichi in base alle misure previste dallo stato d’emergenza, destinato a prolungarsi di almeno altri sei mesi.


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