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Shimon Peres l’ultimo dei grandi patriarchi di Israele che voleva il suo paese, la Palestina e la Giordania nell’Unione europea

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Quando un autostop cambia la storia. Immaginiamo un caldo pomeriggio estivo, come solo in Israele (che però ancora non e’ Israele, ma una landa desolata chiamata Palestina), e sul ciglio di una strada sterrata c’e un giovanotto che chiede un passaggio alle rare automobili che transitano. Quel giovanotto si chiama Shimon Perski, viene dalla Polonia, da Vishneva, dove e’ nato il 2 agosto del 1923. Ha undici anni, quando compie la sua  aliyah. E quando chiede, in quel ciglio di strada sterrata un passaggio, ne ha gia’ venticinque. Si ferma un’automobile impolverata e sbuffante, e qui comincia la storia. Anzi, la Storia. Perché alla guida dell’automobile c’e David Ben Gurion, destinato a diventare uno dei “patriarchi’ dell’ancora sognato e agognato Stato d’Israele; e così tra Shimon Perski, che poi muterà il cognome in Peres, nasce un’amicizia e un sodalizio umano e politico che si interrompe solo con la morte di Ben Gurion.

Con Golda Meir, Moshe’ Dayan, Yitzhak Rabin, Menachem Begin, Abba Eban, Levi Eshkol, ,e naturalmente Ben Gurion, Peres e’ uno dei Padri fondatori dell’Israele che conosciamo. L’ultimo rimasto di quella generazione. La sua vita, e quella di Israele si intrecciano fin dalla nascita dello Stato nel 1948. Avviato alla politica attiva da Ben Gurion, di Israele e’ stato, via via, vice-ministro, ministro, primo ministro e infine presidente. E’ stato uno dei fautori degli accordi di pace di Oslo nel 1993, per i quali riceve il Nobel insieme all’allora premier Rabin e al leader palestinese Yasser Arafat. Al termine del mandato presidenziale, nel 2014, non viene comunque meno il suo impegno, anzi, se possibile si intensifica attraverso la sua Fondazione, il Centro Peres per la Pace di Jaffa che si prefigge come scopo quello di promuovere il dialogo fra ebrei e arabi. E tanto più i negoziati di pace da lui stesso avviati si fermano, tanto più si fanno accesi  i contrasti con il premier conservatore Benjamin Netanyahu, tanto più ribadisce la sua fiducia in una soluzione diplomatica del conflitto israelo-palestinese.

Stiamo parlando di un pacifista sempre e comunque; piuttosto di un realistico sognatore la cui tempra non viene intaccata dalle numerose sconfitte personali; Peres forse e’ il politico che stabilisce  il record di sconfitte elettorali: nel 1977, 1981, 1984, 1988 e 1996. Al punto che gli si incolla L’etichetta di eterno perdente. Tuttavia, caparbio, ogni volta si rialza, non domo.
Premio Nobel per la Pace, ma anche capace di essere un “falco”: quando e’ ministro della Difesa nel 1970 approva i primi insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata. E’ primo ministro quando aerei da guerra israeliani bombardano  il villaggio libanese di Qana, uccidendo 106 civili nell’aprile del 1996. Si trasforma poi in “colomba” quando diventa uno degli “architetti” degli accordi di Oslo nel 1993 con l’Olp. Lui che in precedenza rifiuta ogni compromesso con i paesi arabi ostili a Israele; racconta: “Tutto e’ cambiato dopo il 1977, con la storica visita del presidente egiziano Anwar Sadat a Gerusalemme, che  porta al primo trattato di pace arabo-israeliano”. E spiega di essersi convinto della necessità di arrivare un giorno a una sorta di coabitazione”Non c’e’ alternativa: uno stato ebraico chiamato Israele e uno stato arabo chiamato Palestina, che non combattono, ma vivono insieme in amicizia e cooperazione”. Circondato da un alone di carisma, Peres finisce con l’assumere il ruolo di “saggio della nazione”.

Già leader del Partito laburista, di fronte alla crisi del partito laburista  nel quale milita e di cui e’ dirigente, si convince che occorre esplorare strade nuove. A chi gli chiede cosa lo animi, e come fa, dopo tante amarezze e sconfitte politiche a non darsi per vinto, risponde con una frase che ben riassume il suo modo d’essere: “Calcola quanti risultati hai raggiunto nella vita e quanti sogni hai avuto. Se il numero dei tuoi sogni supera quello dei risultati, sei giovane”.

Nel 2005 fonda formazione al di fuori del Labour. Confida: “La vecchia sinistra e la vecchia destra appartengono al passato. Siamo in una nuova era. Dobbiamo scegliere: rimanere con il passato o andare avanti in una nuova epoca”. E al “Corriere della Sera” spiega: “Il passato era basato sulla terra: i campi, l’immobiliare. Per avere più terra si faceva la guerra, per difendere i confini si costruivano eserciti. Così la politica girava intorno a terra e guerra. La nuova era è senza confini, perché la scienza non ne ha. Se vuoi essere un grande scienziato, non devi ridurre qualcuno a essere piccolo… gran parte dei popoli e della politica vivono nelle due età. Quindi pagano un prezzo doppio: per l’epoca vecchia e la nuova. Pagano gli eserciti. Ma che bisogno c’è se confini non esistono? E la scienza è neutrale. Il problema è la scienza senza moralità: può perfino distruggere il mondo. Ma anche se vivi nell’epoca della moralità senza scienza rischi di morire: non hai cibo. Perciò occorre avere scienza e morale, non separarle”.

Sempre in quella lunga intervista Peres si dichiara, nonostante tutto, si dichiara ottimista: “Per una ragione semplice: ottimisti e pessimisti muoiono negli stessi modi. Dunque perché essere pessimisti? Se sei pessimista perdi la tua attività, la gioia di vivere. Se sei ottimista hai interesse nella vita, proverai a renderla migliore”.

In una intervista pubblicata su “l’Unità” il 13 febbraio del 2004, Peres fa sua la vecchia proposta di Marco Pannella di far entrare Israele, la Palestina e la Giordania nell’Unione Europea. Dice di averne parlato con i leader palestinesi, con l’egiziano Mubarak, con il re giordano Abdallah, e con altri leader europei; e che tutti si sono dichiarati favorevoli: una prospettiva, aggiunge, che potrebbe favorire la pace, perché l’Europa disporrebbe finalmente di uno strumento efficace: non sanzioni, ma incentivi.
Un “sogno” non nuovo per Peres: già nel giugno 2000, alla Conferenza dei Presidenti del Parlamento Europeo, commentando la proposta pannelliana dice: “Saremmo molto felici di diventare membro dell’Unione Europea”.
La “novità” del 2004 consiste nel proporre l’ingresso in Europa non solo di Israele, ma anche della Palestina e della Giordania. Non si tratterebbe più, di trascinare Israele fuori dal suo contesto mediorientale, sentito come ostile ed estraneo, per riportare “la democrazia israeliana all’interno del mondo occidentale di cui sarebbe parte integrante; al contrario, l’Europa assorbirebbe tutta una parte del Medio Oriente, Israele insieme con i due stati arabi vicini”.

Un sogno: che nel frattempo in Medio Oriente si e’ creata la situazione che sappiamo; e anche l’Unione Europea e’ “altro” da quello prefigurato dai suoi padri fondatori, che col “Manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi ha poco o nulla a che spartire. E sempre piu’, ahinoi, si afferma non la “Grande patria europea”, piuttosto l’Europa delle piccole patrie, dei piccoli e meschini egoismi. Resta tuttavia  l’aspirazione, la “visione” di Peres, e di tanti come lui, realistici, pragmatici “sognatori”.


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