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I punti di riferimento di Marchionne: Pinkerton e la tessera del pane

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Dichiarando in Cina che la condanna inflitta dal Tribunale di Roma al gruppo Fiat per discriminazione illecita nelle assunzioni è frutto di una folkloristica legislazione locale, l’amministratore del gruppo Marchionne ha confermato che i suoi punti di riferimento, in materia di relazioni industriali, sono l’Agenzia Pinkerton, utilizzata all’inizio del secolo scorso negli Stati Uniti per la repressione dell’attività sindacale, la tessera del pane di mussoliniana memoria, le indagini condotte dalla Fiat negli anni sessanta con l’aiuto di elementi della Benemerita per escludere dalle assunzioni i comunisti. Arnesi simili sono tuttora all’opera in nazioni come la Cina, ove le assunzioni vengono decise dal partito, ma nei paesi civili sono finiti nella pattumiera della storia, sin dal New Deal di Roosevelt, alla cui normativa contro la discriminazione antisindacale si è ispirato quarant’anni dopo lo Statuto dei Lavoratori. Questa nostra legge, è bene non dimenticarlo, non contiene soltanto l’articolo 18, ma altre norme fondamentali di tutela dei diritti civili: dal diritto alla libera manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro (articolo 1), alla proibizione di controlli occulti con impianti audiovisivi (articolo 4), al divieto di indagini sulle opinioni (articolo 8). In materia di parità di trattamento vi è poi l’articolo 15 dello Statuto, che vieta gli atti discriminatori ed è stato recentemente rafforzato da altre norme, anche di origine comunitaria, tali da ampliare le possibilità di tutela del lavoratore contro le discriminazioni. Il Tribunale di Roma, con la sentenza del 21 giugno 2012 (Giudice Anna Baroncini) ha dato applicazione in particolare all’articolo 28 di una legge recentissima, il decreto legislativo 1° settembre 2011 n. 150 che specifica nuove modalità di tutela contro le discriminazioni, anche quelle che colpiscono i lavoratori per le loro convinzioni. La Fiat si è difesa sostenendo tra l’altro che i lavoratori della FIOM avevano protestato contro i nuovi metodi voluti dall’Azienda dimostrando così di non condividerne gli orientamenti. Questa argomentazione – ha osservato esattamente il Tribunale – pare introdurre una teorizzazione della legittimità della discriminazione per motivi sindacali.


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