Non si faranno a Roma, perché quando si spengono le luci, si accendono i debiti. Che pesano sui cittadini, mentre i guadagni se li godono i privati, per lo più con grandi edificazioni. Allora è una buona notizia? Non proprio. Perché si potevano concepire olimpiadi diverse, con ricadute vantaggiose per i cittadini (per es. alloggi degli atleti riconvertiti un case popolari decorose) e guadagni controllati per i costruttori, con rigidi protocolli di vigilanza anti-lievitazione dei costi. Insomma, le prime Olimpiadi a preventivo bloccato e a valore aggiunto sociale.
Un cambiamento possibile, ma difficile da realizzare a Roma. Una città da anni senza un buon governo e una macchina capitolina che ha mostrato di non saper tener testa alle lobby (vedi Metro C e gli spaventosi aumenti per revisione prezzi concessi senza opporre resistenza). Quindi le Olimpiadi non ce le possiamo permettere non solo per l’imprevedibilità dei costi, ma per la mancanza di una pubblica amministrazione con una forte personalità e indipendenza. E una classe politica che sa di poter contare su una vasta indulgenza della pubblica opinione, sopraffatta dal nazional-narcisismo della “gara per la candidatura”.
Come si esce allora da questo modello di Olimpiadi “ammazza-bilancio”?
Con scelte politiche drastiche e condivise a livello internazionale. Prima di tutto, considerando il minor budget dei costi come elemento influente di assegnazione. Nella mia fanta-olimpiade, vedo il papa Francesco candidare il Vaticano e poi gli atleti che si sfidano negli oratori. Non pretendo tanto, ma un po’ di semplicità non guasterebbe.
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