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“Un padre, una figlia”. Maro’… che tristezza!

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Film osannato dalla critica mondiale, Palma d’oro alla regia lo scorso anno, Cristian Mungìu raccoglie ancora i frutti del suo bellissimo “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” che gli valse il massimo riconoscimento a Cannes nel 2007. Da allora, ovviamente, Mungiu è diventato un “must” da festival, nonché cantore ufficiale della cinematografia rumena. In “Un padre, una figlia” un uomo over-50 si guarda indietro e vede uno sfacelo. Come la sua Romania, Romeo sperava di (ri)costruirsi un fulgido futuro e invece non ha fatto altro che sopravvivere, con tanto di amante, moglie infelice, figlia sbuffona. Eppure lui ha fatto del suo meglio, ha aiutato tutti, ha tentato quanto possibile di non scendere a compromessi. Ma, che fare, la Romania – dice lui – non gli ha offerto alternative ad una sorda, banale, quotidiana, infelicità.

Cristian Mungiu conosce bene il suo mestiere: sa scrivere, sa lavorare con la macchina da presa, ha una perfetta cognizione dell’inquadratura. Ci mette dentro tutto quello che gli serve per raccontare e soprattutto per dimostrare il suo punto di vista: il protagonista paga le sue non-scelte, un certo conformismo, la mancanza di coraggio. Ora spera di rifarsi con la vita della figlia, ma quella non ne vuole sapere di dargli retta, vuole seguire la sua strada.

Un film con una tesi triste, vecchia, che il regista va in giro gridando ai quattro venti. Dopo i cinquant’anni (la sua età) quello che è fatto è fatto, se hai sbagliato paghi per i tuoi errori e la tua unica speranza sono dei figli migliori di te.

Adolescenti, giovani adulti, il sole dell’avvenire, la speranza del cambiamento è in loro. I cinquantenni possono pure tutti buttarsi a mare, sono stati dei pusillanimi e peggio per loro.

Beccarsi un intero tristissimo film – per carità: rigoroso, preciso, accademico – per sentirsi dati per morti è un po’ troppo. E sarà che io conosco tanti cinquantenni che stanno cambiando vita radicalmente, mentre i loro figli sembrano congelati dall’assenza di desiderio, che mi permetto di dissentire. Per non parlare della follia di caricare, ancora una volta, una generazione delle codardie dei padri. E’ Romeo che ci suggerisce questa prospettiva o Mungiu? Non importa, la tesi è comunque vecchia, direi di epoca sovietica. Grazie, abbiamo dato. E’ ora di passare oltre.


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